Durante un’orrida estate
A proposito della raccolta di racconti “La notte comincia piano” di Daniele Titta
di Daniele De Cristofaro / 10 settembre 2019
Agosto 2019. Il caldo torrido imperversa in città, in questa estate feroce i picchi d’innalzamento della temperatura sono da record e la canicola rende l’aria quasi irrespirabile. Nonostante tutto decido di uscire, allora percorro l’asfalto rovente fino al parco e scorgo una panchina all’ombra di un leccio, c’è un filo d’aria, ma come oasi di fortuna può andar bene. Mi siedo e sfoglio le prime pagine di La notte comincia piano di Daniele Titta, una raccolta di sette racconti pubblicata da CasaSirio Editore (2019).
Immediatamente vengo trasportato dalla prosa di Daniele, e seguendo il filo della trama dei suoi racconti scopro, chissà se non a caso, che l’atmosfera facente sfondo a tutti i brani – eccetto l’ultimo – è in totale sintonia col clima di questa stagione: siamo anche qui d’estate, ma è un’estate sinistra quella narrata dall’autore, satura di odori acri e purulenti, come quelli emanati da un cumulo di pesce rancido abbandonato su una banchina sotto al sole.
Grazie all’efficacia di una prosa a forte impatto visivo – dove nella mente del lettore le immagini prendono vita con straordinaria immediatezza, formandosi come da sole – l’autore ci immerge in un mondo al confine tra l’orrido e il ripugnante, con personaggi spinti al limite estremo della propria esistenza: umanoidi assassini, bambini precocemente cresciuti, adolescenti di periferia rosi dalla noia, tossici disperati, vecchi soli e stanchi della vita. E da contorno compaiono dei mostri come sirene arenate sulla spiaggia, orde di cadaveri che affiorano dal mare, ragni giganti rintanati nei ripostigli, il corpo di una ragazzina dato pezzo per pezzo in pasto ai pesci in un laghetto.
Tra tutti gli scenari calati nei racconti ne risalta uno in particolare che, a parer mio, è forse il più realistico, in cui l’orrido s’incontra con lo squallore della realtà di periferia: si tratta del penultimo racconto ironicamente intitolato: “Guardando al futuro con ottimismo”. Tra un gruppo di annoiati adolescenti e alcuni tossici della periferia romana, all’improvviso dilaga un’epidemia di tagli col rasoio autoinflitti sulla pelle, di amputazioni di cartilagini eseguiti con maestria chirurgica, tentativi più cruenti che disperati per sfuggire a una realtà che esplode tutt’attorno, dentro e fuori.
«La periferia è uno stato mentale, una colpa non colpa dalla quale non ci si monda mai, un odore cattivo che si gode a inalare senza aprire la finestra», dove la sorda sofferenza annienta qualsiasi ulteriore questione: «In fin dei conti, quando si tratta di dolore chi è in grado di definire che cosa è giusto e cosa è sbagliato?»
Racconto emblematico della raccolta che, insieme a “Benedici i resti”, testimonia attraverso le vicende dei personaggi la desolante, piatta e indifferente condizione di una coscienza individuale totalmente distaccata dal proprio vissuto e sguazzante nel magma di un tempo amorfo e inerte, dove l’azione è solo un riflesso condizionato di un meccanismo sociale senz’anima.
Notevole, tra gli altri, il racconto che chiude il libro e che dà il titolo all’intera raccolta: “La notte comincia piano”, in cui Titta cambia bruscamente scenario: dopo averci fatto annaspare nel clima di una torrida estate ci investe ora con una doccia fredda, allestendo la narrazione di un efferato omicidio perpetrato in un gelido inverno di un paesino di montagna. Si concentrano qui elementi di horror e di mistero degni delle più famose creazioni di Lovecraft, che il lettore amante del genere non potrà sicuramente non apprezzare.
(Daniele Titta, La notte comincia piano, CasaSirio Editore, 2019, pp. 160, euro 14, articolo di Daniele De Cristofaro)
LA CRITICA
Con una prosa semplice e immediata Daniele Titta ci introduce in un mondo al confine tra l’orrido e il ripugnante, creando delle crepe nel muro di una squallida quotidianità che risucchiano certezze e speranze dei personaggi, che sono in fondo anche le nostre.
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