Benvenuti nell’oscurità

Estratto da “L & R: L’enigma Lindemann e Rammstein”

di / 29 luglio 2020

Amstetten, Bassa Austria, un’oretta e mezza di macchina da Vienna. Kerstin, Stefan, Lisa, Monika, Alexander, Michael, Ferelix: i nomi dei figli di Elisabeth Fritzl. Sette nascite in ventiquattro anni, dai 18 ai 42. Ventiquattro anni imprigionata nella cantina di casa dal padre Josef Fritzl. Sette figli frutto degli abusi sessuali perpetrati dal padre alla figlia dal 1984 al 2008. Michael è nato e morto in quell’inferno nel 1996; Kerstin, Stefan e Felix hanno vissuto sempre lì, un’esistenza priva di qualsiasi luce o libertà, una lampada al posto del sole; Lisa, Monika e Alexander sono stati portati in superficie e hanno poi vissuto con Josef e sua moglie Rosemarie, la quale ha dichiarato di non aver mai scoperto nulla e di aver sempre creduto alle versioni del marito.

A sedici anni Elisabeth Fritzl è già vittima delle violenze del padre e prova a scappare di casa. Per un po’ ci riesce ma la polizia – nonostante le richieste imploranti della giovane – la riporta nell’abitazione dei genitori. Due anni dopo il Josef Fritzl scriverà delle finte lettere: è Elisabeth, si è unita a una setta e chiedeva a tutti di non essere cercata. In realtà è rinchiusa in una prigione meticolosamente costruita, ampliata e modificata nel corso degli anni. Un bunker accessibile solo dopo aver superato meccanismi elettronici e otto porte blindate, ponderato da un uomo con già due stupri alle spalle. La giovane è vittima degli abusi del padre da quando ha dieci anni, li sotto viene ammanettata a un palo per quasi un anno ed è costretta a vedere film pornografici e a ripeterli. «Luci spente, stupro, luci accese, muffa, umidità e lui che va via», questa la cronaca delle giornate. La verità viene a galla quando Kerstin, la maggiore, viene portata in ospedale in fin di vita. Il team ospedaliero non crede alla versione di Josef e chiama la polizia. Poco alla volta la verità viene a galla, ma non le risposte alle tante devastanti domande.

Come Il Maestro Macellaio ha sconvolto la Germania, il Caso Fritzl ha sconvolto la vicina Austria e, ispirandosi alla vicenda, Lindemann ha composto Wiener Blut. Torniamo a una questione importante e ricorrente nella parabola dei Rammstein (e successivamente della carriera solista del frontman): fin dove ci si può spingere nello scegliere e trattare storie così terribili, piene di malvagità e sofferenza? È possibile comporre una bella canzone e un altrettanto ottimo testo ispirandosi a fatti del genere realmente accaduti? Possiamo dire che Wiener Blut (ma potremmo citare anche Mein Teil) è una gran canzone nonostante tratti il caso Fritzl? O è proprio il fatto che la canzone sia concatenata a tale fatto a renderla ancora più degna di analisi? Se nel brano del Macellaio la voce parla dal punto di vista della vittima, qui è l’aguzzino. I riferimenti al caso sono espliciti ma l’autore inizialmente li declina aggiungendo quel tocco di narrazione fiabesca e per bambini tanto cara, avviando la più nera delle fiabe:

Komm mit mir, komm auf mein Schloss
Da wartet Spaß im Tiefgeschoss
Leise, leise wollen wir sein
Den Augenblick von Zeit befreien
Ja das Paradies liegt unterm Haus
Die Tür fällt zu, das Licht geht aus

Seid ihr bereit?
Seid ihr so weit?
Willkommen, in der Dunkelheit!

Vieni con me, vieni al mio castello
Là aspetta il divertimento nel sotterraneo
Vogliamo essere silenziosi, silenziosi
Liberare l’istante dal tempo
Si, il paradiso è sotto la casa
La porta si chiude, la luce va via

Siete pronti?
Siete pronti?
Benvenuti, nell’oscurità.
Considerando l’età della povera Elisabeth, questa prima strofa potrebbe racchiudere le infami parole ingannevoli di un orco che cerca di rendere bella la prigionia, intento a ingannarla come un abile cantastorie fa con le menti più indifese. A colpire poi è la domanda intenta a spianare la strada al ritornello: a chi è riferito quel “Siete pronti”? A chi è destinata quell’inumana richiesta? Non ci sono spettatori lì sotto, chi dovrebbe assistere? Unici testimoni di quell’orrore saranno anni dopo i figli dell’incesto. Nel “Seid ihr so weit?” si ritrova il caso così come venne poi seguito dai media, con annessa spettacolarizzazione e ossessione: basti pensare alle invasioni dei fotografi nella nuova vita di Elisabeth e i suoi figli e le laute offerte al padre per avere esclusive di interviste e materiale. È come se Lindemann volesse denunciare il gusto morboso (magari anche il proprio, che lo porta a trattare questi argomenti) che attrae la gente a conoscere queste storie. O il cantante vuole avvisarci dell’orrore che ci stà per narrare?

Keiner kann hier unten stören
Niemand, niemand darf uns hören
Nein man wird uns nicht entdecken
Wir lassen uns das Leben schmecken
Und bist du manchmal auch allein
Ich pflanze dir ein Schwesterlein
Die Haut so jung, das Fleisch so fest
Unter dem Haus, ein Liebesnest

Nessuno può disturbare quaggiù
Nessuno, nessuno può sentirci
No, non ci scopriranno
Assaggiamo la vita
E se qualche volta sei sola
Ti faccio una sorellina
La pelle così giovane, la carne così forte
Sotto la casa, un nido d’amore

«Willkommen, in der Wirklichkeit», ovvero «Benvenuti, nella realtà», aggiunge il cantante alla fine del secondo ritornello. Degno di nota è rilevare come a Lindemann in Wiener Blut non interessi raccontare tutta la storia dal principio alla fine. Il brano finisce con il terrificante e senza speranza «Ich halte dich in der Dunkelheit / In der Dunkelheit!» («Sono vicino a te e ti tengo / Ti tengo nell’oscurità / Nell’oscurità!»): non c’è lieto fine nella narrazione di Lindemann, il quale sceglie di soffermarsi sulle fasi iniziali della tragedia, lasciando fuori la fuga di Elisabeth Fritzl.

 

Articolo tratto da “L & R: L’enigma Lindemann e Rammstein” di Alessio Belli (Arcana Edizioni, 2020)
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