Nuova fiaba antica di volpi, lupi e janare
“Come fanno le volpi” di Ulderico Iorillo
di Giulia Eusebi / 26 ottobre 2021
Come fanno le volpi (Italic Pequod, 2021) è l’esordio letterario di Ulderico Iorillo, un romanzo coraggioso che fonde in sé molteplici anime.
In un’Italia postunitaria, dove l’Ottocento si sta trasformando nel nuovo secolo, dove la modernità si insinua nella vita di persone ancora profondamente radicate a un sentire terreno e ctonio, Iorillo delinea con penna sinuosa e asciutta la storia di Aris, principe delle montagne, fanciullo-ragazzo che in questo universo arcaico e in transizione compie il proprio viaggio iniziatico per fuggire dal mondo, e darsi così al mondo.
Narrare una fiaba di formazione con approccio mistico restituisce la prova di maturità di un autore, che si allontana volutamente dai canoni del romanzo picaresco tanto cari a quell’Ottocento letterario smanioso di “santificare” i suoi eroi umili. Il romanzo-fiaba di Iorillo si nutre dei riferimenti storici dell’epoca – uno su tutti la ferocia del brigantaggio come spettro capace ancora di far tremare gli animi –, ma li incastona all’interno del racconto quali fossero pietre cristallizzate nel fluire della narrazione e non se ne lascia sopraffare, per non sporcare la storia senza tempo del suo protagonista.
Ambientato in una terra poco raccontata, dove si incontrano Molise e Campania, dove l’Appennino domina il paesaggio e il mare è solo qualcosa su cui favoleggiare, Come fanno le volpi è una storia dal lessico plurimo, commisto di termini dialettali, costruzioni frasali che sanno di lingua viva. L’autore, però, forse per timore di eccedere, dosa con parsimonia queste incursioni di realismo e le relega ai soli modi di dire, detti e cantilene, che hanno comunque lo scopo di ricordare qual è la musicalità delle conversazioni lette nel romanzo e solidificano la patina di magia che permea tutto il libro.
Potrebbe sembrare che Iorillo abbia costruito il suo romanzo-fiaba partendo dalle carte di Propp. Nella storia di Aris si incontrano tutti i topoi del caso: da un contesto iniziale inospitale a causa sia della prematura morte della madre sia di un padre violento e frigido, buono solo a percuotere, passando per il dolce aiuto di una figura materna e salvifica come una madonna, incarnata però da una nomade ebrea, per proseguire poi in mezzo a diavoli, lupi e janare – le streghe del folklore di quei luoghi – per arrivare all’amore di Sofia.
Come base su cui poggiare tutto, un incantesimo – dichiarato fin dall’inizio, sebbene oscuro – che necessita di essere spezzato, per ripristinare così un ordine sovvertito in seguito a patti maligni, come si legge sin dalle prime pagine: «Il bambino nasce col fuoco e il fuoco è dentro il bambino. Crescerà come un signore, come un animale. Nascerà da un assassinio, da un vecchio conto da regolare, da un tiro coi dadi, mentre Dio ci gioca e ci scherza, ma non abolisce il caso, almeno non stavolta».
La scrittura si compatta in un presente storico che rende eterno il racconto. Il flusso narrativo si sposta per blocchi di immagini che si susseguono e restituiscono vividezza, con l’eleganza raffinata dei cantastorie.
Il tempo nel romanzo sembra rarefatto e lo scorrere dei giorni, dei mesi viene restituito con immagini di pregiato valore («Sopra, il cielo è più vecchio di alcuni anni e gli alberi intorno hanno anelli giovani e nuove radici»).
Un qui e ora che prende corpo e segue la fuga del giovane protagonista da Calena – paese inospitale e isterilito, con una sola voce e un solo pensiero «quasi sempre l’uno diverso dall’altro» – per rispondere al monito: «Aris, trova il tuo posto».
Eppure, sebbene il protagonista scappi da un paese e da un padre che lo stringono e lo soffocano con la loro violenta indifferenza, la narrazione non diviene mai incalzante, ma riesce a distendersi e ad accorciarsi senza strappi pur restituendo l’inquietudine derivante dall’apparente incapacità nel risolvere l’aspro rebus dei monti che si chiudono intorno al protagonista e che gli impediscono di vedere che la propria casa è «il posto dove hai tutto».
Un esperimento complesso, quello di Iorillo, soprattutto se si tiene a mente che ci si trova davanti a un esordio, una volontà forte di non venire meno alla voglia di sperimentazione letteraria, che ben si innesta all’interno di una narrazione che fiorisce e riesce a utilizzare gli stilemi classici senza farsene travolgere.
Come fanno le volpi è il romanzo audace di una nuova voce nel panorama letterario italiano che non ha timore di raccontare una storia dal sapore passato, in grado di eternizzare – all’interno di una fiaba vecchia eppure nuova – concetti che da sempre accompagnano le esistenze umane, che siano l’amore o l’odio, la morte o la vita.
E quando la fiaba troverà la sua conclusione, «allora sarà il momento del riposo, dell’inizio di un nuovo racconto e di un futuro senza diavoli e padroni».
(Ulderico Iorillo, Come fanno le volpi, Italic Pequod, 2021, 152 pp., euro 15, articolo di Giulia Eusebi)
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