“Dal diario di un cane” di Oskar Panizza

di / 16 novembre 2011

È straniante, questo volume. Il percorso oculare è copertina-titolo-quarta, rapidi a quella nota biografica che (sinistramente) illumina il senso bizzarro di questo esperimento di transfert canino. Letterato di ripiego, in fuga dalla psichiatria (deve esservi qualcosa di vero, in “Medico, cura te stesso”), contende a Kafka, ma con altre premesse e, francamente, risultati, il primato di bizzarria: lì scarrafone, qui Fido.

Cozza, questa allegoria, con almeno due locuzioni impresse nella memoria e tanta parte della mia estetica comportamentale: cane morto, dritto dal gergo di caserma (vale “nullafacente, disfattista, piagnucolone”) e il calabro (di ritorno, per illuminazione postuma) cane malato (vale quasi come sopra, con marcata però connotazione d’infamia di basso profilo, da taccheggio al discount o sbirciata di décolleté alla donna dell’amico). Insomma: se il cane scegli, a rappresentare coscienza d’uomo, il suo sguardo orienti al basso ab origine.

Che accade, allora, a questo cane/Everyman? Quello che succede a Mr. Bloom, verrebbe da dire: con la differenza, però, che questo cane le prende sempre, e non ha scorciatoie masturbatorie o una moglie psico-logorroica a scaldargli letto e patate.

Non assalta, la voglia di seguire il filo narrativo (finisce male, ovvio); complice l’escamotage diaristico, le quasi cento (in corpo 12/14…) pagine di questo libro si offrono naturaliter allo spulcio (…). Poco entusiasmante, però: tolto il gusto per la glassatura lessicale un po’ stramba un po’ retrò (ed è buona, la scelta dell’Accademico Traduttore di non “aggiornare”): «Il mio padrone è un mostragambe» (p. 46; e ha regolare antonimo: «nascondigambe», p. 70 ); tolta la diagonale di cani annusaculi (p. 55: agghiacciante…) e le altre, invece, carine vignette che tanto fanno satira iconica e un poco anche casino ante-Merlin (p. 69) con coda zoo-voyeuristica (p. 71), rimane il fastidio per ’sto quadrupede sguinzagliato a moraleggiare, in stanze e ambienti di sbircio soppiatto, su questioni che non lo riguardano e non comprende, che mai è preso da un compito che sia uno o una qualche utilità per chi lo nutre, che raramente è in braccio e ci sarà, Santa Pace, un perché se non c’è mai.

E viene fatto di pensare, non fosse che è crudele, che quasi se la mariti, la fine che ha fatto.

 

   

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