«Una volta era tanto tempo fa»

di / 11 marzo 2012


«In linea ragazzi, in linea! Dovete salire compatti».
Ezio sta in piedi a bordo campo. Ha la barba grigia e i capelli lunghi tenuti a bada da un cappellino con visiera, le braccia incrociate sul petto.
«Maran, se rifai un lancio d’esterno come quello ti rompo quella testa di cazzo che ti ritrovi!»
Il campo della Sanvitese è fatto di terra battuta con pochi ciuffi d’erba. Ci sono delle pozzanghere di fango al centro e sulla fascia destra, vicino alle due aree di rigore. Cumuli di neve sporca sotto le tribune ricordano che mancano pochi giorni a Natale.
I ragazzi delle giovanili si stanno allenando sui calci piazzati. Sono divisi in due squadre da otto, i portieri si alternano, un’azione a testa. La squadra in attacco fa un cross dalla tre quarti. Se segna, fa un punto. La squadra in difesa organizza la barriera e le marcature. Se riesce a superare la linea di metà campo palla al piede, fa punto, se riesce a far scattare la trappola del fuorigioco, fa due punti. Chi fa fallo ne perde tre. L’azione termina solo quando una delle due squadre raggiunge il suo obiettivo o se la palla finisce fuori dal campo.
Stanno sei a cinque per l’attacco. La difesa ha appena fatto il quinto punto respingendo facilmente un contro-cross sbilenco dell’ala destra, Pierluigi Maran, un quindicenne di Savorgnano dotato di una gran tecnica ma totalmente indisciplinato sul piano tattico. Il mister ha un debole per lui. Gli ricorda quando era giovane e giocava nella primavera dell’Udinese: nessuna voglia di allenarsi, una smania continua di giocare a pallone.
«Dai ragazzi, proviamo ancora. Questa volta facciamo da sinistra». Ezio si porta nel punto del campo da cui vuole che venga battuta la nuova punizione.
«Ma mister, sono già passate le diciotto, l’allenamento è terminato!», gli dice Cortisoli, uno dei centrali di difesa della squadra, alto quasi un metro e novanta ma ancora completamente privo di peli e barba.
L’allenatore controlla il cronometro che tiene appeso al collo. «Puttana Eva, hai ragione! Va bene, tosi, chi deve andare vada, chi vuole rimane con me a provare un po’ di punizioni a rete».
Quasi tutta la squadra va via, incluso Maran. Rimangono in quattro con l’allenatore.
«Come mai van’ via tutti?», chiede Ezio ai rimasti. È stupito, di solito i ragazzi non vogliono mai interrompere l’allenamento, soprattutto quando si tratta di provare le punizioni e i rigori.
«Mister, mi sa che dopo quello che è successo alla partita i genitori li tengono un po’ d’occhio», risponde uno dei ragazzi.
Durante l’ultimo incontro di campionato, che aveva visto i giovani della Sanvitese ospitare i Tigers di Braidacurti, il mister Ezio Vendrame era stato espulso dal direttore di gara per le ripetute bestemmie con cui aveva accompagnato le sue indicazioni tattiche. L’arbitro aveva provato più volte a riportarlo alla calma ottenendo solo delle temporanee tregue. Alla fine era stato costretto a cacciare l’allenatore dal campo. Ezio aveva continuato a gridare istruzioni e moccoli dalle tribune del piccolo stadio, provocando l’indignazione e la collera dei genitori di entrambe le squadre. Alla fine, il padre del centravanti dei Tigers, titolare di una piccola fabbrica di cartucce da caccia poco fuori Pordenone, gli aveva detto in malo modo di stare zitto e i due erano quasi finiti alle mani.
I rapporti tra Ezio e le famiglie di San Vito e dintorni erano sempre stati burrascosi. I genitori dei suoi allievi lo accusavano di essere un cattivo esempio per i giovani, così sboccato e insofferente alla disciplina, sempre pronto a condividere con i ragazzi i suoi ricordi di calciatore tutt’altro che gloriosi dal punto di vista sportivo ma ricchi di vicende piccanti ai limiti del pornografico: le conquiste facili, gli allenamenti saltati perché impegnato in altre forme di attività fisica, le assenze la domenica per non aver sentito la sveglia o addirittura per essere rientrato a casa dopo che l’allarme era già suonato, al termine di notti alcoliche e a luci rosse.
I ragazzi lo adoravano. Insegnava calcio in un modo leggero e allegro. Non facevano sport: giocavano. Era il massimo. Pochissimo allenamento senza palla, per il resto tutto il tempo a fare partitelle, schemi, la tedesca per migliorare il controllo palla.
Ezio era più che un semplice tecnico di calcio per la sua squadra. Era stato elevato a maestro di vita, a profeta di verità. I giocatori pendevano dalle sue labbra, gli chiedevano consigli, si scambiavano di nascosto negli spogliatoi i libri di poesie che Ezio aveva scritto come fossero testi sacri e proibiti.
«Mister, come si fa a conquistare le ragazze come facevi tu?», gli avevano chiesto un giorno durante un allenamento.
«Prima di tutto non dovete avere paura di provarci!», aveva risposto, «Non fate le cose di nascosto, mandando messaggini o cose del genere, agite alla luce del sole, andate a citofonarle sotto casa, fatevi vedere in giro con lei, così che capisca che per voi è importante. Vedete, ragazzi, la donna va trattata con calma e lentezza, va cotta a fuoco lento e costante, se volete farle perdere la testa. Dovete farle capire, o almeno credere, che conta solo lei per voi, così poi sarà anche più disposta a fare quelle cose che volete che vi faccia, quelle porcherie che tanto vi interessano. Dovete smettere di guardarvi i porno su internet, sennò vi fate delle aspettative troppo alte! Finirete per credere che davvero le tose vi spompinano appena vi vedono. Rilassatevi, è una cosa naturale far l’amore! I porno su internet sono esagerati, sono tutti degli atleti, fanno paura. Usate i giornaletti piuttosto, se vi vergognate a comprarli ve li presto io. Buttate al cesso la playstation, i giochini, il computer! Anzi, il computer no: prima cercatevi Zigoni e Meroni su internet, due calciatori veri, imparate quello che c’è da sapere e dopo buttate il pc nel camino».
Una volta, durante un incontro con gli Junior di Mezzocorona, Maran si stava preparando per battere un corner. Prima di rimettere in gioco il pallone, l’esterno della Sanvitese aveva preso tra le mani la bandierina del calcio d’angolo e ci si era soffiato il naso, poi aveva indicato la porta avversaria. Era la stessa cosa che aveva fatto Vendrame in un Padova-Udinese di tanti anni prima. Si era soffiato il naso con la bandierina, aveva indicato la porta e poi aveva segnato, direttamente da calcio d’angolo, disegnando una parabola che si era infilata impeccabilmente sotto l’incrocio più vicino, facendo ammutolire l’intero stadio. Maran voleva emularlo, solo che era stato ammonito dall’arbitro per condotta antisportiva prima ancora di calciare e subito dopo riammonito ed espulso per le vibranti proteste a cui si era lasciato andare.
Uscendo dal campo, Ezio gli aveva detto solo: «Maran, sei il solito mona!», e il ragazzo aveva risposto: «Mister, se mi mandi in tribuna godo!», citando il titolo dell’autobiografia di Vendrame e provocando un moto di orgogliosa gioia nel cuore del tecnico.
Era così: i ragazzi lo veneravano, cercavano di rifare le giocate e le spacconate con cui lui aveva acceso Padova e Vicenza, Napoli e Ferrara, con Maran primo emulatore. Studiavano le sue giocate leggendo attentamente la sua biografia o guardando e riguardando le immagini che rari programmi delle televisioni locali dedicavano alle gesta sportive del “Best del Tagliamento”.
Ezio approfittava dell’ascendente sulla squadra per insegnare ai ragazzi quello che gli premeva di più: il rispetto per il gioco, per i tifosi, per gli avversari.
«Non dovete mai dimenticare che il calcio è un gioco, che deve essere una cosa bella da fare e da vedere», ripeteva spesso. «Questo è il segreto per giocare bene. La corsa, la tecnica, i fondamentali, più di tanto non servono se non c’è passione e leggerezza. Non dovete mai esagerare e umiliare il vostro avversario. Io ho fatto un tunnel a Rivera, una volta. Ero poco più che un ragazzino e giocavo nel Vicenza. A un certo punto me lo son trovato davanti a centrocampo . Ha allargato le gambe solo per un attimo e io ci ho fatto passare la palla in mezzo e l’ho superato. Sono stato male subito dopo, mi son sentito in colpa. Sono dovuto tornare indietro a chiedergli scusa. Non mi piaceva l’idea di aver umiliato una leggenda. Subire un tunnel è una gran brutta cosa!»


Da qualche tempo, le cose alla Sanvitese si sono fatte più complicate. Tutto il paese mormora, dice che Ezio non è adatto a formare dei giovani, che se si limitasse solo a dire come si gioca a pallone non ci sarebbero problemi, ma che non si può accettare che quel poeta squinternato insegni ai giovani come stare al mondo. I ragazzi tornano a casa dopo gli allenamenti e si mettono al computer ad ascoltare le canzoni di un tale Piero Ciampi che parla di vino e donne, declamano poesie sulla mona, scritte dal loro allenatore. Persino il parroco che non disprezza le partite di calcio ha avuto da ridire sulla sua condotta.
Due giorni prima era arrivata una busta al presidente della società sportiva. Conteneva una lettera e un assegno in bianco. Era da parte di una delle persone più facoltose di San Vito, il padre di uno dei ragazzi della squadra. Sulla lettera c’era scritto: «Signor presidente, dica al Vendrame di mettere sull’assegno la cifra che vuole: pago io, basta che si tolga dai coglioni». Ezio aveva riso e aveva strappato l’assegno. Però da quel momento qualcosa era cambiato: i ragazzi avevano iniziato a rimanere al campo solo per gli allenamenti. Stavano molto di meno con il loro mister, gli chiedevano sempre meno suggerimenti sulla scuola e le ragazze.
«Che due maròni i genitori», dice adesso Ezio sistemando le sagome di plastica blu che andranno a simulare la barriera, «meno male che i miei erano poveri e mi hanno abbandonato in orfanotrofio, vacca lurida!»
«Non ci pensare, mister, se la faranno passare, vedrai», dice Cescon, il mediano di fatica della squadra.
«E a voi perché vi hanno fatto rimanere?»
«Perché per mio padre sei un mito, quindi non ci sono problemi». Il padre di Cescon è un pediatra originario di Udine abbastanza noto nella zona. Una volta, alla fine di una partita, era andato da Vendrame e gli aveva fatto i complimenti per quel Padova-Udinese del 1977 in cui Ezio aveva segnato da calcio d’angolo. La ricordavano bene tutti e due, quella partita. All’Udinese serviva una vittoria per essere promossa in B. Prima dell’inizio della gara due dirigenti bianconeri avvicinarono Vendrame e gli chiesero di aiutare quella che era stata la sua prima squadra. Non doveva fare niente di che: bastava che si limitasse a giocare male e in cambio gli avrebbero dato sette milioni di lire. Ezio non ci aveva pensato a lungo. Al diavolo, si era detto, ho giocato male tante volte e gratis, qui mi pagano pure. Così entrò in campo pronto a disputare la peggiore delle sue partite. Quando però i tifosi dell’Udinese cominciarono a fischiarlo senza motivo, lui iniziò a giocare a calcio a modo suo, finendo per disputare una delle sue migliori prestazioni di sempre. La Sanvitese vinse per tre a due, Vendrame segnò un altro gol oltre a quello dalla bandierina e a chi gli disse che i soldi se li poteva scordare rispose semplicemente «E chi se ne frega».
«Colpisci più sotto la palla, Mario, e cerca di non sbilanciarti indietro». I quattro ragazzi rimasti si alternano con il mister a calciare in porta, scavalcando la barriera di plastica. Non c’è il portiere, ma va bene lo stesso.
Nel controluce dei riflettori si iniziano a veder cadere alcuni fiocchi di neve, piccoli e leggeri, prima, poi sempre più grossi e fitti.
«Va bene ragazzi, basta così. Andate a fare la doccia, prima che inizi a nevicare troppo. Qui metto a posto io». I quattro ubbidiscono avviandosi verso bordo campo.
«Mister, ma quando ci rivediamo? Tra due giorni è Natale», gli chiede il figlio del pediatra.
«Non lo so, vi chiamo io e vi dico, devo parlare con il presidente».
«D’accordo, mister, ma tu che fai a Natale?»
«Il Natale non è fatto per chi non ha una famiglia. Mi comprerò del vino, mi chiuderò in casa e mi metterò a scrivere davanti al camino, come sempre».
I ragazzi fanno un cenno di saluto scendendo le scale verso gli spogliatoi.
Ezio rimane da solo in campo. La neve gli cade addosso sempre più forte ma lui non sente freddo.
Pensa all’ultimo Natale passato con una donna amata, tanto tempo prima, al calcio, alle occasioni perse e a quella partita contro l’Udinese.
Gli viene in mente un pezzo di quella canzone del suo amico Piero e la canta tra sé e sé: «La vita va così. Ho una folle tentazione di rifermarmi a una stazione, senza amici e senza amore. Il Natale è il 24».
Vede un pallone lì vicino e senza pensarci due volte lo calcia. La sfera si alza in una parabola precisa che scavalca la barriera e si infila sotto l’incrocio, imprendibile e bellissima. Immagina il portiere a terra e lo stadio pieno, l’arbitro che fischia il gol e i compagni che lo abbracciano felici.
Esce dal campo e canta ancora: «Sono secoli che ti amo, cinquemila anni e tu mi dici di no? Ma vaffanculo! Te, gli intellettuali e i pirati. Vaffanculo. Vaffanculo».

Ezio Vendrame (Casarsa della Delizia, 21 novembre 1947) è un ex giocatore e allenatore di calcio, autore di numerosi volumi di poesia.
Cresciuto in orfanotrofio, ha mosso i suoi primi passi da professionista nell’Udinese per approdare alla ribalta della Serie A nel 1971 con la maglia del Lanerossi Vicenza.
Giocatore estroso e dotato di gran tecnica, giocava indifferentemente come ala e mezzala. Non è mai riuscito a dare continuità alle sue doti, alternando giocate superlative a prestazioni grigie e irritanti. Per lo stile di gioco e di vita sregolata venne ribattezzato “Best del Tagliamento”. L’allora presidente della Juventus, Giampiero Boniperti, lo paragonò al fantasista argentino Mario Kempes. Nereo Rocco diceva che era pazzo. Il pubblico lo adorava per il suo genio e la sua irriverenza.
La sua vita dissoluta a base di alcol e sesso fuori dai campi di gioco gli ha impedito di esprimere al massimo il suo talento. Dopo tre stagioni a Vicenza passò per un anno a Napoli prima di approdare al Padova e alla realtà delle serie minori. Proprio con la maglia della squadra veneta si rese protagonista di un episodio passato alla storia del calcio. Durante l’incontro con la Cremonese della stagione 1976-1977, per il quale le due società si sarebbero accordate per il pareggio, prese palla al limite dell’area avversaria dribblando i suoi compagni e arrivando fino alla propria porta, fintando il tiro. Un tifoso non resse la tensione e fu colto da infarto.
Amico fraterno del cantautore e poeta Piero Ciampi, dopo il ritiro dal calco giocato si è dato alla poesia pubblicando numerose raccolte.
Vive nella campagna friulana, lontano dalla Casarsa che gli ha dato i natali e in cui intende tornare solo da morto, per riposare accanto a Pierpaolo Pasolini.

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