“Varen’ka Olesova” di Maksim Gor’kij
di Elisa Cianca / 19 marzo 2012
Vi siete mai innamorati? O meglio, vi è mai capitato di perdere letteralmente la testa per una ragazza? Tanto da ritrovarvi a pensare a lei in ogni momento della giornata, dall’alba al tramonto? Ebbene questo è esattamente ciò che accade al protagonista di Varen’ka Olesova, romanzo del russo Maksim Gor’kij: Ippolit Polkanov, convocato dalla sorella alla morte del cognato per questioni burocratiche, s’imbatte in un’adorabile creatura indomita che comincia a ossessionarlo con la sua straordinaria presenza. Costei è, appunto, Varen’ka Olesova.
Fin dalla prima apparizione la giovane si manifesta in tutto il suo splendore: Polkanov la ribattezza in cuor suo «splendida femmina». Varen’ka ha in sé ogni attrattiva, la sua persona emana uno charme che seduce i sensi: si pensi al profumo di violette che lei stessa rivela di cogliere ogni mattina per strofinarsi le braccia, alle sue «labbra carnose», ai suoi «due grandi occhi scuri ridenti» e persino all’abito «da scioccherella» che evidenzia le sue forme.
Varen’ka incarna un’allegria contagiosa e l’amore per i piaceri sensibili: il tepore del sole sulla pelle, la freschezza cristallina dell’acqua di sorgente. Tutte queste esperienze quotidiane trasmettono in chi la incontra un amore per i piccoli gesti quotidiani, la capacità di incantarsi davanti alla bellezza disarmante della natura.
Ma il lettore è messo in guardia fin da subito circa le stranezze di una ragazza “originale”, tanto che Polkanov può rassicurarsi tra sé con queste parole: «Le sue stramberie mi rendono del tutto immune dalla possibilità che m’invaghisca di lei». Infatti da un punto di vista intellettuale appare un po’ selvatica e le sue idee alquanto strambe sono contrarie al buon senso: per esempio non nasconde che sia giusto ricorrere alle maniere forti se un mužik non obbedisce, oppure si vanta delle proprie letture di romanzi d’avventura scritti per épater les bourgeois con improbabili colpi di scena.
Il testo è costellato di rimandi al matrimonio, il «niveo candore della veste» suggerisce la purezza del tradizionale abito da sposa. Gli altri personaggi sembrano suggerire al protagonista che è tempo di prender moglie e mettere la testa a posto. Varen’ka è rappresentata come una probabile sposa di Polkanov e in ogni sua apparizione la metafora matrimoniale si impone fino a irretire il povero Ippolit: «Dinanzi a lui stava una ragazza di media statura… con qualcosa di bianco ed etereo gettato sulla testa, simile a un velo da sposa». L’intensità di ogni apparizione è talmente forte che l’uomo stesso descriverà il loro primo incontro come un «assalto all’arma bianca». Nonostante sia la prima a desiderare una sistemazione per lui, tuttavia la sorella Elizaveta lo incalza con questo ammonimento: «Qui ha conquistato tutti… ma dal punto di vista spirituale, è una specie di scherzo della natura».
L’opera è un inno al creato attraverso descrizioni della natura che incantano nella loro semplicità esaltando gli incontri pseudo-romantici di Ippolit e Varen’ka nel bosco e le gite in barca sul fiume: «Alcune intrepide cince sfrecciarono rasente a loro e, appollaiatesi sui rametti d’un arbusto, s’impegnarono in un concitato cinguettio, quasi che scambiassero le loro impressioni su questi due esseri sperduti nella solitudine del bosco».
Il piacere della lettura è esaltato dalla traduzione di Daniele Morante le cui descrizioni si esprimono in uno stile così soave da far dimenticare in itinere la lingua di partenza.
(Maksim Gor’kij, Varen’ka Olesova, trad. di Daniele Morante, Voland, 2011, pp. 176, euro 10)
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