“Storie pazzesche” di Damián Szifron

di / 9 dicembre 2014

Sei racconti selvaggi (per rimanere fedeli al titolo originale, Relatos Selvajes, cambiato per qualche motivo oscuro), sei episodi assolutamente non collegati tra loro ma uniti dalla imprevedibilità e follia umana, formano le Storie pazzesche con cui l’argentino Damián Szifron si è presentato in concorso all’ultimo Festival de Cannes e che in questi giorni sono di passaggio al Courmayeur Noir in Festival.

Su un aereo, tutti i passeggeri scoprono di conoscere la stessa persona, e quella persona è il pilota. Durante una notte di pioggia, in un ristorante isolato, una cameriera vede entrare l’uomo che ha rovinato la vita di suo padre. Su una strada in mezzo al nulla, un semplice litigio tra due automobilisti diventa una primordiale resa dei conti. Un ingegnere civile vede la sua vita andare a pezzi per colpa di una multa. Una famiglia benestante è alle prese con un incidente stradale che coinvolge il figlio. Durante un grande matrimonio viene fuori la verità sullo sposo e la vendetta della moglie.

Definire Storie pazzesche non è semplice. Il regista e sceneggiatore Szifron (che è soprattutto autore e regista televisivo. Il suo Hermanos y detectives era stato acquistato da Mediaset che ne aveva fatto prima un film e poi una serie con Enrico Brignano) ha raccontato che le sei storie sono nate in un momento di frustrazione personale per altri progetti che non riuscivano a decollare. Ha lasciato volare la fantasia per conto proprio e ha buttato giù dei racconti su cui poi ha deciso di costruire il film. Non c’è un filo conduttore evidente, se non il tono grottesco e a tratti paradossale. Sembrano quasi episodi di Ai confini della realtà incrociati con le Storie incredibili ideate da Steven Spielberg per la tv negli anni Ottanta. Eppure, guardando appena al di sotto della superficie a metà tra barzelletta e apologo morale, si può vedere tanto sulla condizione dell’Argentina d’oggi e sulla sua borghesia.

I due episodi finali, ad esempio – quelli dell’incidente e del matrimonio –, mostrano un’abitudine al compromesso che è sintomo della vocazione alla finzione che caratterizza la classe media non solo argentina. In particolare nel quinto, l’idea che un incidente grave, se succede al figlio di un magnate abituato a risolvere i problemi con il denaro, possa diventare tranquillamente una trattativa di affari anziché una questione giuridica, dimostra la vocazione all’irresponsabilità di quanti sono allenati a pensare di poter scaricare le proprie colpe su altri, in cambio di denaro. Allo stesso modo, il matrimonio sfarzoso e cafone che fa da cornice all’ultimo episodio diventa messa in scena per rappresentare la sintesi dei ricatti e dei segreti di una intera vita di coppia.

C’è altro, perché la storia dell’ingegnere vessato dalle contravvenzioni, interpretato da Ricardo Darín già protagonista di gran parte del miglior cinema argentino contemporaneo, fino al premio Oscar del 2009 Il segreto dei suoi occhi, chiama in causa la burocrazia assurda e il suo riflesso sulla vita dei cittadini.

Sotto l’apparenza di intrattenimento nero, quindi, si può osservare in Storie pazzesche (prodotto anche da Pedro Almodóvar) una riflessione amara e ulteriore su un intero paese che si trova ancora una volta a doversi confrontare con difficoltà economiche immense e un nuovo default dopo il crollo delle borse del 2001.

Szifron riesce a muoversi tra generi completamente diversi, guardando a modelli che vanno dal Duel di Steven Spielberg (di nuovo), nell’episodio della lotta tra automobilisti, al pulp di Tarantino, fino ad arrivare a una sintesi tra Reality di Matteo Garrone e L’ultimo capodanno di Marco Risi nell’episodio conclusivo, con piena consapevolezza dei propri mezzi registici. Senza la pretesa di essere preso come autore impegnato, Szifron riesce comunque a testimoniare, ancora una volta, l’ottimo stato di salute del cinema argentino anche in una confezione inedita e lontana dall’idea di autorialità. E senza rinunciare all’obiettivo di divertire il pubblico.

(Storie pazzesche, di Damián Szifron, 2014, commedia, 122’)

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