“Ogni giorno è per il ladro”
di Teju Cole
di Giulia Usai / 17 ottobre 2014
Lagos è una città spietata, e non si addolcisce per augurare il benvenuto a uno dei suoi tanti figli che vi fa ritorno. Teju Cole questo lo sa bene: nel suo Ogni giorno è per il ladro (Einaudi, 2014), cronaca amara e raffinata del viaggio verso casa di un ragazzo nigeriano che studia Medicina a New York, l’impatto con le origini è crudo e autentico. Il protagonista, del quale non si fa il nome ma che ha tutta l’aria di essere lo Julius di Città aperta, il romanzo con il quale Cole si è garantito un posto d’onore tra i migliori scrittori africani contemporanei, gira per la città consapevole che i quindici anni di lontananza non gli garantiranno un trattamento di favore, anzi. Più esplora, ricerca, si perde nel dedalo infernale della metropoli africana, più si rende conto che la vita in Inghilterra e negli Stati Uniti ne ha irrimediabilmente intenerito il carattere, rendendolo inadatto al luogo che l’ha cresciuto.
Ci sono momenti, tuttavia, nei quali riemerge un sentimento di appartenenza, un orgoglio per la propria terra troppo spesso ferito dal constatarne la continua corruzione, la violenza e la criminalità diffusa: quando visita il Muson Centre, spazio innovativo dedicato alla musica; quando vede una donna sull’autobus intenta a leggere Michael Ondaatje; quando visita Jazzhole, uno dei pochi negozi di libri e dischi con un’offerta artistica stimolante.
Ogni giorno è per il ladro è anche la geografia di una città, la mappatura di uno spazio urbano preda di un’espansione frenetica e spesso ingestibile. Lagos è una madre giovane e una donna infedele, che accoglie nel suo grembo l’umanità più varia e si fa sempre più multietnica nelle sfumature di pelle dei suoi abitanti, ai quali offre continue possibilità di mettersi in gioco senza però garantirne la sopravvivenza. È un luogo che si è reinventato dopo il disorientamento lasciato dalla decolonizzazione britannica, adattando il concetto di globalizzazione a una versione tutta originale di progresso: tra il pullulare di nuove attività commerciali e una religiosità cristiana onnipresente, il ladro e l’onesto, il povero e il benestante lottano per continuare a galleggiare nel ribollente magma cittadino.
L’operazione compiuta da Cole è uno dei tòpoi più classici della letteratura, la cronaca di un ritorno a Itaca che si sposta però a un’altra latitudine, dove tutto è più estremo, intenso. L’autore è consapevole che il materiale che ha a disposizione per la sua storia è roba prolifica, bollente, che si presta con naturalezza alla narrazione, e lo maneggia con consapevolezza e misura. Dopotutto, tramite il suo personaggio confessa ai lettori: «provo una vaga compassione per quegli scrittori che devono esercitare il loro mestiere in sonnolenti sobborghi americani, descrivendo scene di divorzio simboleggiate da un lentissimo risciacquo di piatti. Se John Updike fosse stato africano, avrebbe vinto il Nobel vent’anni fa. Sono convinto che il suo materiale lo ostacolava. Shillington, Pennsylvania, semplicemente non era all’altezza della sua stravagante genialità». La Nigeria, invece, il talento di Teju Cole lo sa assecondare eccome.
(Teju Cole, Ogni giorno è per il ladro, trad. di Gioia Guerzoni, Einaudi, 152 pagine, euro 16)
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