“Charlie Chaplin”
di Peter Ackroyd

La vita del più grande uomo di cinema di tutti i tempi

di / 18 marzo 2015

Charles Spencer Chaplin, nato a Walworth, Londra, il 16 aprile del 1886 è il classico esempio di uomo giusto nel posto (e nel momento) giusto. Senza di lui il cinema non sarebbe quello che è oggi, non sarebbe uno dei fenomeni artistici e popolari più coinvolgenti dell’umanità, non sarebbe “la fabbrica dei sogni”; non esisterebbero i divi, non esisterebbe il merchandising, sarebbe tutto diverso.

Perché Charlie Chaplin, in cinquantadue anni di carriera, non solo ha scritto ottantotto film, ne ha interpretati ottantasei, ne ha diretti settantadue, ne ha musicati cinquantadue, ne ha montati cinquantasei, ne ha prodotti trentasette (lo dice IMDb), ma è diventato, prima della televisione, delle comunicazioni veloci, dei voli a basso prezzo, di internet e della pirateria informatica, un simbolo, un’icona conosciuta e riconosciuta in ogni angolo del mondo.

Si dice – lo dice Peter Ackroyd, scrittore, critico letterario e autore della biografia Charlie Chaplin, pubblicata in Italia da ISBN nel settembre 2014 – che nel 1915 i suoi film fossero già stati visti da più di trecento milioni di persone nel mondo. Si dice che Marcel Proust prese a tagliarsi i baffi come vedeva fare a Chaplin al cinema. Si dice che nello stesso periodo, un cinema di Accra, capitale del Ghana, si riempisse tutte le sere di guerrieri delle tribù che esplodevano in gridi «Charlee! Charlee!» quando lo vedevano apparire sullo schermo. Si dice, ancora, che in Cambogia venisse imitato nel teatro folkloristico nazionale e che in Giappone la maschera del “Professor Alcol”, che era il nome con cui era chiamato il suo personaggio, fosse entrata nel teatro kabuki.

Se Charlie Chaplin, nell’autunno del 1910, non fosse salito sul piroscafo Cairnrona per attraversare l’Atlantico con la compagnia di Fred Karno (c’era pure Stan Laurel, che poi diventerà Stanlio di Stanlio e Ollio) magari non sarebbe mai arrivato al cinema. Magari avrebbe continuato con il teatro di varietà a Londra, con la clog dance e la pantomima. Invece no, è salito su quel traghetto e da lì è cambiato tutto, per lui e per il cinema. La persona giusta c’era già, era lui. Il posto sono ovviamente gli Stati Uniti, il momento sarebbe arrivato tre anni dopo, con una seconda tournée oltreoceano e un biglietto dalla Keystone Comedy Company. Basta teatro, inizia il cinema a Hollywood.

Tre film a settimana, nel 1914 Chaplin è protagonista di trentasei titoli. La durata varia dai dieci minuti alla mezz’ora, non c’è un copione o una vera e propria trama, solo una serie di gag e di personaggi che si ripetono, ma bastano. Il 2 febbraio 1914 esce Make a Living, esordio di Chaplin al cinema, ma è con i due film successivi che si definisce il personaggio che lo consegnerà al mondo intero.

Il sette febbraio dello stesso anno (cinque giorni dopo Make a Living) esce Kid Auto Races at Venice. Chaplin interpreta la parte di un vagabondo, con i vestiti troppo piccoli e un paio di baffi di crespo di lana. È con il film successivo, Mable’s Strange Predicament, che si definiscono tutti i dettagli: il bastone, la bombetta, i pantaloni troppo larghi (nel biopic cinematografico del 1992, Charlot, con Robert Downey Jr., sono bombetta e bastone ad animarsi e andare incontro a Chaplin) . Nasce The Tramp, il vagabondo, il piccoletto, Charlot, per quel nome dato dai francesi in assonanza con il Pierrot della commedia dell’arte. Un simbolo mondiale. Per Chaplin inizia l’ascesa verso una gloria infinita: il passaggio alla Mutual, le prime regie, il controllo sempre più esteso sulla produzione, dalla scrittura al montaggio, la nascita della United Artists con Mary Pickford, Douglas Fairbanks e David Wark Griffith, e poi i primi lungometraggi, Il monello, La febbre dell’oro, le crisi familiari continue, le accuse di comunismo.

Ackroyd ci ha messo tutto nel suo Charlie Chaplin, ogni aspetto, anche quelli meno nobili. Chaplin è stato sì un genio del cinema, ma allo stesso tempo un essere umano poco più che mediocre. Ha i suoi alibi nell’infanzia orribile vissuta nella miseria più assoluta, con un padre – Charles Chaplin Senior – che non era il suo vero padre e una madre che faceva avanti indietro dai sanatori mentali, così come lui e il fratello Sydney facevano avanti e indietro dai centri per indigenti. Quando è arrivato il successo è arrivata in fretta anche la paura di perderlo, la taccagneria, l’insicurezza cronica e la collera sempre pronta a esplodere. È arrivato un comportamento sessuale esagerato, con una preferenza per le giovanissime, per non dire bambine, un’incapacità di relazionarsi con i figli, e quell’inadeguatezza nei confronti delle nuove possibilità del cinema, di un mezzo che con l’avvento del sonoro diventa completamente nuovo e in cui Chaplin, e ancora di più Charlot, fa fatica a ritrovarsi.

Peter Ackroyd si è affidato per la sua ricostruzione alla moltitudine di testi biografici e autobiografici che hanno già raccontato la nascita e l’evoluzione di una delle più grandi personalità della cultura contemporanea. Ha sottolineato, ricostruendo la miseria con pochi e sapienti tratti, il rapporto sempre esistente con Londra nella vita di Chaplin, quel bisogno di tornare a camminare nei vicoli degradati della sua infanzia ogni volta che si trovava da questa parte dell’Oceano.

Sarebbe stato interessante, magari, soffermarsi di più sui momenti della nascita dei grandi capolavori. Dopo una prima parte anche troppo pedissequa che racconta ogni dettaglio degli infiniti corti e mediometraggi prodotti da Chaplin nei suoi primi anni americani, Ackroyd accantona il discorso puramente cinematografico per gli aspetti più privati della vita dietro a Charlot. Non scende nel puro pettegolezzo, se ne tiene a distanza, ma il cinema finisce in secondo piano e gli ultimi trent’anni della vita di Chaplin sono compressi e dilapidati in venticinque pagine. Eppure ci sarebbe stato da parlare, perché sono gli anni in cui i film (Monsieur Verdoux, Luci della ribalta, Un re a New York, soprattutto) dicono più della vita di Chaplin di qualsiasi biografia.

(Peter Ackroyd, Charlie Chaplin, trad. di Francesca Valente, Isbn, 2014, euro 25)

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LA CRITICA

«Biografia d’autore», come si legge nel risvolto di copertina. Peter Acrkroyd racconta Charlie Chaplin senza nascondere niente, nel bene e nel male. Nelle pagine migliori sembra di vedere un film di Charlot.

VOTO

7/10

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