“Samba”
di Eric Toledano e Olivier Nakache

I registi di Quasi amici tornano con una storia di amore e integrazione

di / 21 aprile 2015

Samba è nato in Senegal ma vive in Francia ormai da dieci anni. Lavora nelle cucine dei ristoranti e sta finalmente per ottenere i documenti per richiedere la cittadinanza, solo che quando va a ritirare le carte in prefettura scopre che il suo permesso di soggiorno è scaduto e viene arrestato come clandestino, in attesa di essere rimpatriato. Ad aiutarlo a uscire dal centro di accoglienza ci pensa Alice, dirigente d’azienda che dopo un crollo psico-fisico è diventata volontaria in un’associazione di assistenza legale per extracomunitari. Una volta tornato libero, ma con l‘obbligo di lasciare il territorio francese al più presto, Samba continua la sua lotta per una vita normale cambiando lavoro e documenti ogni giorno, mentre  Alice cerca di ricostruire una normalità in cui non le dispiacerebbe che ci fosse anche Samba.

Dopo Quasi amici i registi e sceneggiatori Eric Toledano e Olivier Nakache tornano a raccontare una storia di diversità e di ricerca di normalità. In Samba, tratto dal romanzo Samba pour la France di Delphine Coulin (edizione italiana Rizzoli, con traduzione di Giacomo Cuva), il diverso è un clandestino senegalese che non chiede nient’altro di poter vivere la sua normalissima vita a Parigi senza doversi nascondere ogni giorno. In Quasi amici l’impedimento che si frapponeva alla piena normalità del miliardario Philippe era l’invalidità, ma l’amicizia con lo spiantato Driss gli permetteva di tornare ad assaporare il piacere delle piccole cose come ormai non era più in grado di fare da anni. In Samba l’ostacolo esterno è la burocrazia che non vuole Omar Sy – ancora protagonista per Toledano e Nakasche – in Francia, ma l’amicizia con l’Alice di Charlotte Gainsbourg gli dà comunque modo di vivere una vita felice, di avere delle attese. Ancora una volta, è un rapporto personale, intimo, la chiave per la vera libertà.

Rispetto a Quasi amici i due registi sbagliano praticamente tutto. Quell’equilibrio tra commedia e dramma, tra leggerezza e tragedia, non si intravede neanche in lontananza. In Samba non c’è omogeneità, non c’è coerenza né chiarezza nelle svolte narrative, c’è una ricerca di colpi di scena che non conduce a niente se non alla perplessità o al previsto. Gli accenni drammatici sono sempre staccati dalla leggerezza generale, tutto quello che è il contenuto più tragico del romanzo di Delphine Coulin, quindi la descrizione degli aspetti più duri dell’immigrazione, dai viaggi della speranza alle perdite personali, è stato messo da parte. Toledano e Nakache hanno deciso di approcciare un tema complesso come quello dell’integrazione, per di più in un periodo di notevole tensione sociale in Francia, con l’avanzata dell’ultradestra e le spinte nazionaliste, spogliandolo di ogni connotazione politica. Rimanendo nell’ambito della commedia, la scelta dei due registi può anche risultare legittima per non appesantire le avventure di Samba di considerazioni fuori luogo, ma proprio per questo il protagonista finisce per muoversi in una specie di mondo ideale scollegato da ogni implicazione con la realtà. Il suo nemico finisce per essere la sola burocrazia che gli impedisce di ottenere i documenti e che dopo dieci anni di lavoro regolare lo fa tornare al punto di partenza. Non esiste il razzismo, non esiste la xenofobia. Allo stesso tempo, però, Samba vuole essere qualcosa di più di una commedia innocua, vuole far riflettere sulle difficoltà di chi non è riconosciuto, sul senso di smarrimento di chi, per poter sopravvivere ogni giorno, è pronto a fare ogni lavoro e a prendere ogni nome, ogni documento gli capiti tra le mani. È come se Toledano e Nakache abbiano cercato di descrivere una Francia che non esiste per non scontentare nessuno, tenersi lontani dalle polemiche dell’attualità e allo stesso tempo mostrare di essere sensibili alla realtà dei fatti.

Il discorso non vale solo per il quotidiano dell’immigrato clandestino Samba. Anche la descrizione del mondo del lavoro spietato di Alice che la porta all’esaurimento – burnout, il termine esatto – è accennato quel tanto che basta per delimitare i contorni del personaggio, senza andare oltre. Funziona meglio la storia d’amore che lega i due protagonisti, all’insegna di una disfunzionalità che è la loro vera forza. Probabilmente, Toledano e Nakache danno il meglio proprio nella descrizione di rapporti di coppia, siano i due protagonisti o il mondo intorno a loro: l’amico algerino di Samba che si finge brasiliano per trovare lavoro più facilmente e rimorchiare di più; lo zio paziente e brusco di Samba; il mondo delle volontarie del centro di assistenza in cui lavora Alice.

(Samba, di Eric Toledano e Olivier Nakache, 2015, commedia, 118’)

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LA CRITICA

Replicare il successo di Quasi amici, il suo equilibrio praticamente inattaccabile tra dramma e commedia, era impossibile. Eric Toledano e Olivier Nakache hanno provato a fare qualcosa di diverso mantenendo però la centralità di fondo del valore dell’incontro come momento di svolta. A non andare bene, però, è tutto quello che è intorno.

VOTO

5/10

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effe

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