“Etica dell’acquario”
di Ilaria Gaspari
Un buon esordio noir che si snoda fra le vie di Pisa e i collegi della Normale
di Virginia Giustetto / 13 gennaio 2016
«Per molto tempo ho creduto di dover dimenticare Pisa. Invece dopo ogni fuga finivo sempre per tornare». Inizia così il romanzo di esordio di Ilaria Gaspari e nelle prime due righe si ritrova, condensata, tutta la storia. La narratrice e protagonista di Etica dell’acquario (Voland, 2015) è Gaia, trentacinquenne bella e infelice, che torna nella città in cui ha studiato e da cui è fuggita un attimo dopo essersi diplomata. Il ritorno a Pisa è l’occasione per lasciare che la memoria – malinconica, imprecisa, menzognera – si impossessi della narrazione, riportando alla luce gli anni universitari che Gaia ha, volontariamente e istintivamente, cristallizzato in lontananza.
Ciò che emerge è l’acquario hobbesiano che dà nome al romanzo, concretizzato nella realtà chiusa e claustrofobica della Scuola, termine che in modo esplicito fa riferimento alla Normale di Pisa.
«Un giorno, molto tempo dopo il mio arrivo, lo vidi distintamente. Fu il giorno in cui fissavo i pesci nello stagno del collegio e capivo tutto. […] Vedevo all’improvviso che stare alla Scuola era proprio come essere dentro un acquario. Ecco perché quel senso di esilio in un luogo innaturale, che a tratti sapeva farsi più selvaggio, più violento del mondo di fuori».
Un romanzo di memoria – la protagonista si muove nel tentativo di ricostruire un passato che non c’è più e a cui, tuttavia, è rimasta inevitabilmente incatenata («Invece dopo ogni fuga finivo sempre per tornare») – ma strutturato come un noir, perché il ritorno a Pisa coincide con il suicidio di Virginia, ex compagna di studi e per molti versi alter-ego della narratrice, la cui morte, oscura e a tratti inspiegabile, determina l’apertura di un’inchiesta che coinvolge in prima persona la protagonista. La struttura noir è la parte meno solida del romanzo, forse perché il suicidio-omicidio sembra avere una valenza più simbolica che fattuale.
Ma Etica dell’acquario è anche (e soprattutto) una storia sull’intensità degli anni universitari e sul «palpabile senso di separazione incombente» che li accompagna (e ci accompagna) per l’intero tragitto; è il ricordo di un legame d’amore – quello tra Gaia e Marcello – che si fa emblema di tutto ciò che è stato e che non è più, o di tutto quello che sarebbe potuto essere ma è rimasto legato al condizionale. Gli anni del collegio, nel bene e nel male, marcano con chiarezza un prima e un dopo. Ed è per questo che la narratrice ne è ossessionata, al punto da rimanerne ancorata molti anni dopo la loro fine. Nel rincontrare Marcello e i due amici comuni Leo e Cecilia, nel ricordare Matteo, amico e compagno scomparso proprio sul tramonto di quel periodo, Gaia si illude di poter ritrovare la sé stessa che non è più.
«Allora di nuovo sarei stata quella che ero io, in una stanza di collegio, dieci anni o poche ore prima. […] E quegli anni vischiosi di esilio, tutti gli anni della lontananza e dell’espiazione, non sarebbero semplicemente mai esistiti».
Come le illusioni della protagonista, anche il tempo della storia è tutto un tempo passato. Il presente della narrazione sono le acque viscide e melmose dell’acquario e la trama si impone come una lunga osservazione delle regole e dei trucchi da adottare per sopravvivere al suo interno. «L’osservazione continua degli altri alla Scuola diventava presto ossessione». Etica o, ancora meglio, etologia dell’acquario, verrebbe da dire.
La Scuola è tratteggiata come un luogo che contiene in sé «qualcosa di primordiale, qualcosa delle caserme e delle carceri, un senso di violenza compressa fra adolescenti costretti a una vecchiaia precoce». Un ambiente in cui essere belli «è considerato volgare se non insultante». Per questo Gaia impara presto che, per sopravvivere, deve attenersi a regole precise e, insieme, essere pronta a trasformarsi. E allora, la vasca dei pesci diventa emblematica. Per fare un esperimento qualcuno un giorno ha introdotto all’interno dell’acqua dei piranha; l’esperimento è fallito e i piranha sono morti. I pesci superstiti sono incredibilmente mutati: ventri rigonfi e tesi, squame trasparenti attraverso le quali è possibile scorgere gli organi interni, occhi vitrei mentre nuotano «in circoli inutili in un ambiente artificiale». Più che altrove, la Scuola si riduce a una lotta per la vita, tutti contro tutti. Eppure, nonostante questo, o proprio per questo, quando giunge il momento di saltar fuori dall’acqua Gaia non è pronta. Come può un pesce mutato uscire dalle acque torbide e respirare?
(Ilaria Gaspari, Etica dell’acquario, Voland, 2015, pp. 192, euro 15)
LA CRITICA
Non si è mai sazi di leggere libri ambientati negli anni dell’università. In questo romanzo, gli anni in questione sono appesi a fili sottilissimi e carichi, fin dal principio, di un senso incombente di caducità. L’impalcatura noir non regge in tutte le sue parti, ma Etica dell’acquario è un esordio sorprendente, che si avvale di una scrittura fine e di immagini nitide. La copertina del libro, poi, è bellissima.
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