“Bengodi e altri racconti” di George Saunders
Torna in libreria la prima raccolta di racconti dell'autore di “Dieci dicembre”
di Virginia Giustetto / 24 febbraio 2016
Bengodi e altri raccontiè la prima raccolta di racconti di George Saunders, già pubblicata da Einaudi nel 2005 con il titolo di Declino delle guerre civili americane. Minimux fax ha ripubblicato il testo, uscito negli Stati Uniti nel 1996, aggiungendo alla raccolta un racconto inedito e una nota introduttiva dell’autore che è un piccolo gioiello sull’arte del come si diventa scrittori. Un libricino a sé di quelli da tenere sempre a portata di mano quando siamo presi dallo scoraggiamento poiché tutto quello che vorremmo diventare ci sembra così irrimediabilmente lontano.
A unire gli otto racconti – uno dei quali, Bengodi (da cui la raccolta prende il nome), è molto più lungo degli altri – l’ambientazione particolare, che ritorna, con alcune varianti, di testo in testo: un mondo a metà strada tra il reale e l’irreale, il presente e il futuro prossimo, un luogo in cui, tra echi alla Philiph Dick, è facile calarsi per ritrovare molte delle derive dei nostri tempi. Può concretizzarsi in un centro divertimenti grande come una città (un centro in cui, per intenderci, una delle aree è intitolata Cultura&Abbronzatura, e nella quale il visitatore, entrato in una biblioteca fornitissima, mentre si fa una lampada urla il titolo di un libro che gli pare a certe liceali sui pattini. Ed è solo una delle tante possibilità), un quartiere di periferia di una città in cui sono esplosi gli scontri razziali, un parco attrazioni in cui si trova un Fabbricaonde insicuro, un centro intitolato Alternative Umane per i procioni – in cui i procioni dovrebbero essere messi in libertà e invece vengono soppressi con una leva smonta gomme non appena gli ignari clienti si sono allontanati –, fino ad arrivare al mondo stravolto di Bengodi, in cui i Difettosi (coloro che sono nati con deficit fisici o mentali) sono segregati in città separate e i Normali vagano dispersi e imbruttiti senza più coscienza né responsabilità.
In queste terre di mezzo, in questi luoghi-non luoghi, ogni aspetto è sviluppato per mettere alla prova i sentimenti umani. Così, inevitabilmente, a fare la differenza sono i personaggi. Anche in questo caso è possibile individuare un elemento che unisce tutte le storie, ripetendosi invariato di racconto in racconto: i protagonisti sono uomini e donne – uomini, perlopiù – che per un motivo o per un altro sono destinati a fallire, persone calate nelle situazioni per mancanza di alternative a cui non resta che rassegnarsi alla propria sorte. Se provano a cambiare le carte in tavola, nella maggioranza dei casi capitolano – Bengodi, forse, costruito con un finale aperto, lascia spazio alla possibilità di un cambiamento, ma è pur sempre ambientato in un orizzonte distopico con tratti non così lontani dal mondo stravolto della Strada di McCarthy. La regola è: ognuno salvi la propria pelle. A qualsiasi costo.
Cosa vuole comunicare Saunders? Quanta America c’è nei suoi racconti? Molta, è innegabile: le storture del consumismo, il desiderio forzato di divertimento, il conflitto feroce tra consumismo e morale – ed è sempre il primo, in Bengodi a prevalere. Ma non bisogna dimenticare quanto conti, per la gestazione della raccolta, la componente personale. È Saunders stesso a rivelarlo, quando nella Nota dell’autore scrive: «Il mondo in cui mi trovavo a vivere allora era strano, un mondo che cercavo di evitare da quando ero nato: un mondo di scartoffie e cubicoli, con la cravattina da quattro soldi che indossavo ogni volta che entrava il “cliente”, un mondo che sapeva di caffè bruciato nel tardo pomeriggio; un mondo di lunghi corridoi bianchi e arredi anonimi/ridotti all’osso (niente quadri alle pareti, niente fiori nei vasi), un mondo di resoconti da cinquecento pagine intitolati Studio a lungo termine dei possibili effetti di una presunta perdita di benzene sulla qualità dell’aria al coperto di Riley Street […]». L’immaginazione di Saunders viene da qui. «Ero giovane», ha affermato di recente in un’intervista, «non avevo un dollaro, ma ero già padre di due bambini: facevo un lavoro che detestavo. Avevo bisogno nella scrittura di qualcosa di eccessivo».
Lontana dalla bellezza stilistica tradizionale, quella che lo stesso Saunders battezza come «il triplo descrittore letterario», la scrittura di Bengodi è comica e cupa insieme, schietta e satirica. Thomas Pynchon, a proposito di questo testo, disse che quella di Saunders è «una voce straordinariamente intonata: aggraziata, cupa, sincera, e ci racconta storie che abbiamo bisogno di affrontare di questi tempi». Ci sono racconti in cui il taglio satirico è più marcato e altri in cui la componente emotiva sovrasta ogni altro elemento – Isabelle, tra gli altri, è un racconto che tocca picchi emotivi molto alti.
Per chi ha conosciuto e apprezzato l’autore con Dieci dicembre, può essere interessante risalire alle sue origini scrittorie: Bengodi, dice lo stesso Saunders, altro non è che, come ogni libro, «un tentativo fallito che, ciò nonostante, è sincero, sudato, ed emendato il più possibile […] da ogni falsità e quindi imbevuto di una sorta di purezza». È in questa purezza, autentica e cristallina, che il lettore di Bengodi si imbatte, nonostante (o forse proprio per questo) essa sia da ricercare in luoghi come la Grotta Industriale, la Tana della Pasta o il Ricettacolo dei Maiali Integratori della Dieta – che nulla ha a che vedere, chiaramente, con quello dei Maiali che Creano Atmosfera.
(George Saunders, Bengodi e altri racconti, trad. di Cristiana Mennella, minimum fax, 2015, pp. 213, euro 16)
LA CRITICA
Saunders immagina per noi il centro in cui finiremmo catapultati se il mondo si riducesse a essere ciò che egoisticamente stiamo costruendo. Comicità e cupezza, satira e malinconia: nei racconti di Bengodi e altri racconti si ritrova tutto questo. Ad aprire la raccolta una Nota dell’autore sul mestiere di scrivere, che vale, da sé, il prezzo del biglietto.
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