“Atomic” dei Mogwai
Scenari apocalittici e visioni post–atomiche per la band scozzese
di Tommaso Di Felice / 16 maggio 2016
Storyville–Atomic: Living in Dread and Promise è un documentario prodotto la scorsa estate per la BBC e diretto da Mark Cousin che analizza tutti i disastri e le esplosioni nucleari dello scorso secolo, partendo da Hiroshima fino a Černobyl’ e Fukushima, passando per i quotidiani pericoli nucleari della guerra fredda. La colonna sonora di questo lavoro è stata prodotta da una delle migliori band post–rock degli ultimi vent’anni, i Mogwai. La band scozzese non è nuova a questo tipo di esperienze: qualche anno fa, infatti, aveva brillantemente prodotto la colonna sonora di una nota serie televisiva francese conosciuta anche qui in Italia, Les Revenants. Per svolgere al meglio questo nuovo lavoro, i Mogwai si sono recati a Hiroshima in occasione del 70° anniversario dell’attacco nucleare americano, dichiarando poi come questa visita sia stata una delle esperienze più toccanti ma allo stesso tempo intense per il gruppo scozzese. La naturale conseguenza di questo particolare lavoro è stata Atomic, l’ennesimo lavoro (strumentale) della band.
L’album è un concentrato di atmosfere cupe e nebbiose, confuse e rarefatte. Forse la migliore definizione l’ha data Pitchfork, evidenziando come «Atomic, on the other hand, is anything but esoteric. Despite its minimalistic approach, the album poignantly illustrates the binary oppositions that cropped up in Hiroshima’s wake: life and death, hope and fear, war and peace, atomic and organic». Un conflitto continuo, l’affascinante e pericolosa alternanza degli opposti.
Entrando nello specifico, possiamo notare come Atomic contenga diversi pezzi di notevole spessore e valore. Il primo è “Are You A Dancer?”, un lieto avvicendarsi di chitarre e violino. È invece “Ether” ed il suo clima apparentemente sereno ad aprire il disco, tra mille “campanelli” spensierati interrotti solo dal consueto ed improvviso post–rock della band di Glasgow. Proprio questo elemento caratterizza ancora una volta almeno metà dell’album, portandosi dietro “Little boy” e le sue sonorità funeree, l’estrema quanto esplosiva “Tzar” e l’angoscia di “Weak Force” e di “Pripyat”: un trittico piuttosto deciso, spiazzante.
Forse la vera chicca di Atomic è invece proprio lì, nelle prime canzoni dai tratti new–wave. Il safety control rope axe man (ovvero l’arresto d’emergenza di un reattore nucleare, termine coniato da Enrico Fermi nel 1942) ha ispirato “SCRAM”, sei minuti di sonorità distorte e complesse ma sempre armoniose che conducono a “U–235”, l’isotopo dell’uranio. Quest’ultimo rappresenta qualcosa di davvero speciale ed inedito per i Mogwai, ovvero l’ininterrotto uso dei sintetizzatori e la completa assenza di chitarre. Chiudono l’album il pianoforte di “Fat Man” (il nomignolo della bomba sganciata su Nagasaki) e la più tradizionale “Bitterness Centrifuge”.
Atomic è un contenitore di suggestioni e desolazione, un’analisi muta degli aspetti negativi e non dell’energia nucleare: la mano dell’uomo e le sue intenzioni, la voglia di andare oltre e i rischi del limite, la solitudine di scenari apocalittici e distopici tipici dei peggiori incubi contemporanei. Un album imperdibile per contenuti musicali e non solo, che riporta i Mogwai al centro dell’attenzione.
LA CRITICA
Un gradito ritorno ricco di sofferenze e contrasti, nelle sonorità come nei contenuti, di visioni catastrofiche.
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