“Bellissimo” di Massimo Cuomo
La favola della bellezza
di Francesca Ceci / 13 settembre 2017
Dopo le storie del nordest italiano di Piccola osteria senza parole, Massimo Cuomo ha deciso di ambientare il suo ultimo romanzo, Bellissimo (edizioni e/o, 2017), a Mérida, capitale dello Yucatán. La scelta è stata forse dovuta all’esigenza di raccontare un mondo che sarebbe stato credibile e naturale solo in Messico, troppo colorato e denso per l’Europa, troppo magico per l’Italia.
I colori delle città e dei paesi attraversati, i personaggi fin dai loro nomi, le stranezze, le peculiarità, le credenze immotivate e i culti assoluti – dei vivi, dei morti – che altrove richiederebbero una spiegazione, in Bellissimo appaiono spontanei ed essenziali, indispensabili per accompagnare la storia e la vita della famiglia Moya.
Santiago e Miguel sono fratelli, il primo riservato, silenzioso, perennemente combattuto, in ombra; il minore, semplicemente, bellissimo.
«Dietro al vetro c’è la faccia di Miguel, zero giorni. Davanti al vetro c’è la faccia di Santiago, cinque anni. La sua espressione stupita si riflette sulla vetrata insieme al neo sulla guancia destra. Come il bottone di una camicetta. Come il punto di un punto di domanda. E la domanda che pensa Santiago, osservando il fratellino nella culla oltre il vetro, è una soltanto: “Perché è così bello?”».
La particolare e irresistibile avvenenza che Miguel mostra fin dalla nascita lo rende un bambino speciale; i familiari prima, l’intero paese poi, seguono sgomenti e affascinati la crescita del niño divino, con incredulità e fiducia gli attribuiscono poteri e caratteristiche che vanno oltre il reale e il terreno e che gli conferiranno un potere di attrazione, talvolta di repulsione, che il ragazzo non ha mai voluto ma in cui si trova indissolubilmente invischiato.
Il romanzo affronta e approfondisce il tema del rapporto tra fratelli, l’amore alternato alla rivalità, l’invidia che acceca i ricordi, la gelosia che fa travisare l’affetto. Due vite che viaggiano come treni vicini su binari paralleli, che seguono due mete indefinite e diverse, destinati a scontrarsi senza essere in grado di riconoscersi.
Intorno ai due fratelli, Cuomo crea un mondo intero di credenze, magia e quotidianità, inventa ambigui curanderi dalla doppia personalità e venditori veri di amache fittiziamente solidali, donne che arrivano a rivaleggiare con la Madonna di Guadalupe, ragazze e bambine che competono inconsapevolmente e inevitabilmente per lo stesso bambino e per lo stesso uomo, un intero e variopinto popolo che sa sorridere anche ai funerali.
Ma, soprattutto, l’autore lavora sul mito della bellezza, quella disarmante e prepotente, quella determinante nella vita di chi la possiede e di chi circonda o soltanto ne incrocia il possessore. Miguel la vive con naturalezza, un regalo non richiesto che fa parte di sé, la usa in modo generoso anche quando ne comprende il potere, la sfrutta fino all’osso per cercare l’amore senza volerlo trovare. Finché la benedizione ricevuta non si trasforma in maledizione, attira lacrime, rancori e sofferenza, si trasforma in irrequietezza, in senso di colpa, in bisogno di evasione dal proprio corpo e dal proprio mondo. Ed è quello che serve per acquisire coraggio e consapevolezza, per usare il dono come strumento di conoscenza, per allontanarsi liberando se stesso e gli altri, rinunciando a far loro del male e individuando ciò che conta nella sola libertà.
«“Dove sei stato?” Gli domanda lei. “A vedere il mondo” risponde Miguel. “E com’è?” “Sporco” dice lui con un sorriso. “Devo fare una doccia…”».
(Massimo Cuomo, Bellissimo, Edizioni e/o, pp. 272, euro 17,00)
LA CRITICA
La benedizione e la maledizione di un dettaglio, reale e magico, in grado di cambiare vite intere.
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