“Perdutamente”
di Ida Amlesù

La completezza dell’assenza

di / 9 ottobre 2017

La prima cosa che fatto quando ho finito di leggere Perdutamente (Nottetempo, 2017) è stata fissare per un po’ la copertina e pensare a come i movimenti delle mani e della testa della donna nella foto rispecchiassero esattamente l’idea che mi ero fatta della protagonista senza nome del romanzo. L’immagine fa parte del brevissimo video di Luna Amato, Bon appétit, ed esprime femminilità, intimità, forse il tentativo di nutrirsi solo di se stesse.

E la protagonista del libro d’esordio di Ida Amlesù, pagina dopo pagina, si svela precisamente così, femminile, sola, ma anche molto di più, strana per sua stessa ammissione, confusa, coraggiosa, soprattutto incredula e incerta di fronte alla vita.

Raccontata in prima persona e in tre atti che sembrano rincorrersi – come gli anni e come gli eventi, senza nessuna calma – la vita della giovane donna inizia con il ricordo dei suoi genitori, di un padre fatto d’aria e di una madre coi piedi per terra, di un’assenza costante e di una presenza silenziosa.

Prosegue con i personaggi incontrati nell’adolescenza tra le pagine di Piccole donne, di Flaubert e di Tolstoj, che finiscono col confondersi a loro volta con quelli incrociati per la strada, fuori dai libri. Cresce con l’amore per un uomo da romanzo, sfuggente e impalpabile, perennemente all’ombra della verità.

«Mi portava per mano nei parchi ingialliti, e io gli dicevo Li conosco già. Lui sorrideva, crudele, e rispondeva Non è vero. Ora li conosci».

È una vita popolata di fantasmi, veri o immaginati, vecchi e nuovi, di incontri della cui autenticità non abbiamo nessuna prova. Non si tratta solo di ricordi, di un’opera di disseppellimento del passato: i personaggi di Perdutamente sono tutti in bilico tra il vero e il non vero, tra il vissuto e il sognato. Vi si trovano gatti parlanti e ladri; si può distinguere nella penombra il fantasma di Marx, seduto in poltrona a fumare, intento a pensare; ci si imbatte in oggetti che spariscono allo stesso modo delle persone, come se avessero entrambi un’anima o forse proprio perché né gli uni né le altre la possiedono.

La donna raccontata da Amlesù appare alla continua ricerca di qualcosa che resta indefinito pur essendo chiaro e imprescindibile dentro di lei, assume le sembianze di una città e poi di un’altra, di un amore improbabile e onnipresente, di un uomo travestito da diavolo o viceversa, dell’attesa per il ritorno di un padre non più riconoscibile e di una solitudine coltivata con una sorta di affetto.

Con un linguaggio lieve, elegante e ricercato, che arriva a sconfinare quasi nella poesia, l’autrice crea un affresco di brevi frammenti che messi insieme restituiscono il senso di un disorientamento incessante e l’aspirazione ad un sentimento pieno di mancanze e privo di soluzione.

«E nella mia solitudine era finalmente chiaro, che ero sola anche quando amavo, e soprattutto quando amavo, perché Volodja e il Diavolo e il Santo e tutti gli altri erano un unico, grande amore, e questo amore aveva un nome, e questo nome era Mancanza – e io amavo perdutamente quello che non avevo, quello che non avevo avuto, quello che non potevo avere, e lo amavo in virtù della sua assenza – perché non lo avevo, perché non lo avevo avuto, perché non lo potevo avere».

 

(Ida Amlesù, Perdutamente, Nottetempo, 2017, pp. 148, euro 12)
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LA CRITICA

La ricerca perenne del confine tra la vita vera e quella sognata e quella temuta.

VOTO

7/10

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