Biblioteche d’autore: cosa leggevano gli scrittori
Un percorso dentro spazi privati e collezioni di libri
di Veronica Giuffré / 5 marzo 2018
Quand’è che una collezione privata di libri diventa una biblioteca? Per provare a tracciare una soglia, occorrerebbe tener conto di una certa consistenza numerica e scomodare parametri di qualità, ma forse sarebbe utile ricorrere anche a trovate più fantasiose. Prendere a misura gli spazi, per esempio, e cercare di risalire al momento in cui, dalla libreria vera e propria, sia avvenuto lo sconfinamento verso altri luoghi del vivere domestico, o stabilire da che punto in avanti, dentro e fuori le pagine, si sia iniziata a tessere una rete di rimandi da farne un sistema.
Le prime a rientrare a pieno titolo in questa definizione sarebbero le biblioteche degli autori, in cui i libri letti, scritti, ricevuti e consultati si intrecciano insieme con gli appunti, le sottolineature, i ritagli di giornale per dare vita a sentieri di esplorazione inediti. E proprio immaginando di trascorrere qualche tempo di fronte a quegli scaffali, passando in rassegna i dorsi e inclinando la testa ora da un lato ora dall’altro per decifrarne i titoli, quello che faremo nelle prossime settimane sarà attraversare le stanze di grandi scrittori che sono stati prima di ogni altra cosa formidabili lettori.
Punto di partenza imprescindibile per un’esplorazione di questo tipo è la collezione di Italo Calvino, così inestricabilmente intessuta di legami tra i propri libri e quelli degli altri da richiedere che ci si soffermi a osservarla lungo tre fasi della sua vita: le letture della formazione, gli anni del lavoro editoriale, la riflessione nell’opera a partire dai personaggi lettori fino alla formulazione teorica di una biblioteca ideale.
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