Eccovi i rischi del mestiere peggiore

“Gli inconvenienti della vita” di Peter Cameron

di / 20 marzo 2019

Copertina di Gli inconvenienti della vita di Peter Cameron

Ecco qui. Ci risiamo. Imboscati nel ritaglio tra armadio e specchiera. Frughiamo tra i ripiani, svezziamo qualche tarlo, sonnecchiamo nelle intercapedini. Apprezziamo la fantasia del tendaggio, sbirciamo nella zuccheriera e ci accorgiamo che andrebbe riempita. La musica è diffusa, il bicchiere troneggia incoronato nel riflesso, il tappeto è ancora ammaccato dall’ultimo guizzo di suole. Che è successo? Abbiamo incassato un invito improvviso? Siamo inciampati nel salotto del nostro vicino? Oppure, semplicemente, abbiamo tra le mani il nuovo libro di Peter Cameron.

È questa l’impressione ormai rassodata di quando approdo nel suo orizzonte. Tepore domestico, sensazioni calzate a pennello, una scioltezza familiare abbordata in gioventù con Un giorno questo dolore ti sarà utile, rinforzata con Weekend e ora finalmente riabbracciata con Gli inconvenienti della vita (Adelphi, 2018).

Due racconti lunghi, pubblicati in America già da anni nelle riviste curate da David Leavitt e Jennifer Egan. Due spaccati quotidiani immortalati al loro interno, visti e indagati in laparoscopia. Nel profondo, ma senza segni apparenti.

“La fine della mia vita a New York” è la storia di una coppia sfilacciata. Due uomini benestanti condividono un sontuoso appartamento a Tribeca; Stefano è un avvocato di successo, Theo invece è uno scrittore ingolfato, incapace ormai da troppo di produrre idee riversabili in un libro. Direziona il tempo come può, ma niente sembra ristorarlo. Piange durante un massaggio, suda e barcolla di fronte a un eccesso di acciughe. Si confida con un’amica che lo strizza a dovere, non sa gestire un pranzo né un confronto serrato, entra in bagno e ne sbuca fradicio e tremante. Ha una ferita addosso, che non si scolla dal petto e gli zavorra il fiato, una ferita che il suo compagno non può comprendere per il solo fatto di non essersi trafitto con lui, per non aver deragliato sullo stesso asfalto sbriciolando altre esistenze. E questo divario non può che portarli alla rovina.

L’egoismo del dolore non si spiuma mai abbastanza. Spicca un salto inafferrabile solo per viversi lontano. «Perché ci sono cose che non si possono aggiustare, come il piatto che mi è caduto ieri sera. Ci sono troppi pezzi, oppure sono troppo piccoli. Forse anch’io non sono riparabile».

“Dopo l’inondazione” è la storia di una coppia sfilacciata. Anche questa, vedi sopra. E cosa cambia? Più o meno tutto. Perché ognuno, pur con la stessa partitura, rivendica il diritto di disgregarsi a modo proprio. Stavolta il dramma si spancia dentro la provincia, in un cordone di case sul groppo del fiume. I coniugi Bird ospitano nel loro appartamento diventato troppo grande una famiglia di sfollati, che ha perso ogni cosa tranne se stessa. E questo episodio scatena la nemesi. L’altro diventa specchio e negativo fotografico. Loro che hanno mura e corrente, coperte e fornelli, non sono comunque al sicuro. Sono stati sfrattati da un passato normale, un passato qualunque, con a bordo una figlia e poi una nipote.

Ma anche ricevere insieme quella stessa ingiustizia non li ha cementati l’uno nell’altra. Li ha portati a parlarsi pochissimo, a contenere i danni e dividere i letti. Minimizzare i contatti, cauterizzare i ricordi. Resta solo la parrocchia, non come una fede, ma come un rifugio, una vecchia abitudine aggrappata al cappotto. A cui è possibile sottrarsi, sostituendo la giacca.

Marito e moglie sono soli di fronte all’assenza, snudati, legnosi, con le proprie piccole soluzioni e i loro immensi disagi. Ed è qui che si sguazza con Cameron, nello stagno di nevrosi e insofferenze giornaliere. Personalissime e comuni. Così nostre sulle spalle altrui. Quel costante lambirsi, sfiorarsi da incauti superstiti e non dirsi mai il necessario e girare attorno al relitto. Quel guardaroba di incoerenze e scalfitture che alberga con esiti sempre diversi anche in romanzi come La vita coniugale di Sergio Pitol, Anime alla deriva di Richard Mason o Istruzioni per un’ondata di caldo di Maggie O’Farrell. Amarsi e poi? Non sapere più cos’altro.

Cameron aggiunge a tutto questo dialoghi di una freschezza sempre acuta, analisi folgoranti e sottocutanee, immediatezza e neutralità. Tutto è sul piatto e il suo occhio non pende verso nessun confine.

Bastiamo noi, a rovistare da intrusi perfetti e ad aspettare il prossimo indirizzo in cui infilarci senza ritegno.

(Peter Cameron, Gli inconvenienti della vita,  trad. di Giuseppina Oneto, Adelphi, 2018, pp. 122, euro 16, articolo di Cristiana Saporito)
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LA CRITICA

Peter Cameron torna a riservarci le sue messe a fuoco, puntuali e irresistibili.
Scorci di spazi privati in cui ritrovarsi prima compresi e poi intrappolati.

VOTO

7,5/10

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