Quante mamme si possono avere? L’orrore nazista attraverso gli occhi di un bambino
“Tutte le mie mamme” di Renata Piątkowska
di Raffaella Belletti / 30 marzo 2019
«Ogni giorno il signor Szymon Bauman viene al parco. Con il suo cappotto lungo e il cappello nero passeggia per i vialetti e ogni tanto, appena si sente stanco, si siede su una panchina. Può restare seduto così per ore e ore. I suoi occhi sono socchiusi, sembra che stia sonnecchiando. Ma non dorme, e probabilmente nessuno di voi indovinerebbe a cosa sta pensando». Comincia così Tutte le mie mamme (La Giuntina, 2019) della scrittrice polacca Renata Piątkowska (1958), autrice di numerosi libri per l’infanzia che le sono valse l’Ordine del sorriso, il premio internazionale assegnato dai bambini a chi si è particolarmente impegnato in loro favore. A parlare è un piccolo frequentatore del parco al quale un giorno il vecchio signore decide di raccontare la sua storia.
Szymon, questo il nome del signore, è ebreo. Da bambino viveva a Varsavia e conduceva un’esistenza felice: aveva dei genitori che gli volevano bene, una sorella più grande, Chana, e un amico del cuore, Dawid, che abitava nel suo stesso palazzo e con cui giocava spesso alla guerra. Un giorno però la guerra arriva davvero e Szymon si rende subito conto che è ben diversa da un gioco: le bombe buttano giù il suo palazzo e lui e la sua famiglia sono costretti a rifugiarsi in casa della zia Róża.
Ora gli ebrei devono portare una stella gialla sul petto e subire ogni genere di angherie dai tedeschi. Un giorno, il padre cade in una retata e non fa più ritorno. Poco dopo la famiglia di Szymon è costretta a trasferirsi nel ghetto; inizia per loro una vita dominata dalla paura e dalla fame. A peggiorare le cose interviene la malattia della zia, che viene ricoverata in ospedale, e quella della madre, che cerca faticosamente di tirare avanti.
Una mattina, mentre questa è in cerca di cibo, arrivano i tedeschi e portano via Chana. Il piccolo Szymon sente tutto dal suo nascondiglio sotto il letto; è terrorizzato e pieno di sensi di colpa, perché non ha potuto fare nulla per salvarla. Poco dopo le condizioni della madre peggiorano, la situazione si fa davvero drammatica, ma a questo punto compare come per miracolo l’infermiera Jolanta, che si prenderà cura dei due. Sarà a lei che la madre chiederà di organizzare la fuga di Szymon dal ghetto.
A questo punto occorre fare una digressione, perché l’infermiera Jolanta è esistita davvero. Il suo vero nome era Irena Sendler (1910-2008) ed era membro dello Żegota, il Consiglio per l’aiuto agli ebrei, un’organizzazione segreta polacca. In quanto impiegata dell’assistenza sociale Irena aveva un lasciapassare per entrare nel ghetto, dal quale fece uscire più di 2500 bambini.
La sua figura, rimasta nell’ombra fino al 1999, divenne famosa in tutto il mondo dopo che alcuni studenti del Kansas misero in scena uno spettacolo teatrale ispirato alla sua opera, Life in a Jar (La vita in un barattolo). Da allora è considerata universalmente un’eroina e il Memoriale di Yad Vashem le ha conferito il titolo di Giusta tra le nazioni. Alla fine del libro ne viene fornita una breve biografia.
Jolanta fa imparare a Szymon il suo nuovo nome: Stanisław Kalinowski. D’ora in poi dovrà fingere di non essere ebreo e imparare l’Ave Maria e il Padrenostro. Quando giunge il momento, dopo l’addio straziante alla madre Szymon viene fatto uscire dal ghetto nascosto in un camion e affidato a quella che considererà la sua seconda mamma, Maria, che lo tratterà come un figlio.
Un giorno, purtroppo, Szymon parla ad alta voce della stella gialla che prima portava al braccio ed è costretto a sparire. Jolanta gli fa imparare un altro nome, Maciek, e lo porta in una cittadina vicino Varsavia dalla sua terza mamma, Ania. Qui troverà altri tre bambini fuggiti anche loro dal ghetto. Alla fine della guerra i tre bambini ritrovano le loro famiglie e anche Szymon, dopo qualche tempo, viene rintracciato dalla zia Pola, dalla quale viene a sapere che il padre e Chana sono morti in campo di concentramento. Pola era diventata la sua quinta mamma dopo quella vera e dopo Maria, Ania e naturalmente Jolanta. Il recupero dei bambini da parte dei parenti era riuscito grazie a un ingegnoso espediente ideato da Jolanta, che aveva seppellito in un giardino un grosso barattolo contenente i bigliettini con i nomi dei ben 2500 bambini che aveva salvato e con gli indirizzi delle famiglie che li avevano accolti.
Tutte le mie mamme fa parte della nutrita schiera di libri che parlano ai bambini di un tema difficile come l’Olocausto, da Quando Hitler rubò il coniglio rosa, il classico di Judith Kerr, a Stelle di cannella di Helga Schneider o a Una valle piena di stelle di Lia Levi. Qui l’orrore del nazismo viene descritto attraverso lo sguardo fresco e innocente di Szymon, che pur non capendo il mondo degli adulti ne percepisce tutta l’ingiustizia e l’insensatezza e ci accompagna nel ghetto di Varsavia mostrandoci gli orrori che gli tocca vivere, ma anche tante persone buone, animate dall’amore per il prossimo.
Attraverso il suo racconto i piccoli lettori hanno inoltre la possibilità di entrare in contatto con la cultura e le tradizioni ebraiche, nonché di imparare il valore della memoria e cosa significhi ricordare le atrocità per evitare che accadano di nuovo.
Il racconto del vecchio signore è accompagnato passo passo dalle bellissime illustrazioni di Maciej Szymanowicz.
(Renata Piątkowska, Tutte le mie mamme, ill. di Maciej Szymanowicz. trad. di Barbara Majchrzak, Giuntina, 2018, pp. 48, euro 15, articolo di Raffaella Belletti)
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