Lo sguardo ecocentrico di Matteo Meschiari
A proposito di “L’ora del mondo”, pubblicato da hacca edizioni
di Giovanni Bitetto / 3 giugno 2019
La scrittura di Matteo Meschiari è importante perché pone alla base uno sguardo diverso, inconsueto per tematiche e focalizzazione, o almeno parzialmente estraneo alle mode culturali contemporanee, dominate dalla lallazione di vite post-borghesi e dall’ossessivo scrutare la lanugine nel proprio ombelico. Possiamo definire “sguardo ecocentrico” la postura dell’autore, attento a rilevare i legami fra specie umana e ambiente, a cartografare gli esiti dell’azione dell’uomo sulla natura. Lo spazio narrativo di Meschiari si dispiega fra l’irriducibilità dell’ente naturale e il sedimentarsi dell’operato umano, a tracciare il campo d’indagine sono gli strumenti dell’antropologia e della letteratura. Un’operazione condotta sul piano della narrativa, che attraversa la fascinazione saggistica per darsi al regno del racconto, nel tentativo di metaforizzare una ricerca intrapresa in primis seguendo la bussola dell’estetica. In queste coordinate si iscrivono le storie di Artico nero e l’epica di Neghentopia, l’ultimo romanzo – L’ora del mondo, pubblicato negli eleganti volumi di hacca edizioni – non fa eccezione.
Il racconto si struttura come una favola arcadica ambientata sull’Appennino tosco-emiliano, perno della vicende è l’incontro fra Libera e l’Uomo-Somaro: sono due entità archetipiche, quella dell’allievo e del maestro, benché non è sempre chiaro chi sia l’uno e chi l’altro. Libera è invitata a conoscere la natura, a respirare l’anima dei luoghi mentre il paesaggio le parla tramite il manifestarsi di entità che simboleggiano gli elementi dell’ambiente circostante. Al suo fianco L’Uomo-Somaro le descrive il sedimentarsi della cultura nella natura, la storia dei luoghi che è soprattutto storia dell’azione umana.
Non c’è nulla di idealizzato nella parabola di Meschiari, il rapporto con il paesaggio non è solo rapporto con il proprio io, ma riconoscimento della specie nel campo di forze che l’ha generata, e quindi razionalizzazione delle possibilità ulteriori di sopravvivenza. Per questo nell’Arcadia tosco-emiliana permane, nell’importanza del suo valore storico-estetico, il segno della Resistenza, i luoghi di una Storia mai pacificata che parlano a Libera con la stessa forza delle memorie geologiche di laghi e fiumi. E sono importanti anche i luoghi della modernità – strade, caseggiati, capannoni – perché delineano la volontà trasformatrice dell’uomo.
A metà fra racconto filosofico e favola sospesa fra incanto e disincanto, Meschiari organizza un romanzo diviso in bozzetti, ricco di fascino e incontri al limite del dialogo morale. Una narrazione che può dirsi veloce come una leggenda orale e levigata come il lavoro di un umanista cinquecentesco. La volontà è uscire dalla propria zona di comfort e spostare lo sguardo non più sull’uomo che guarda l’uomo, ma sulla natura che incontra la specie più evoluta. La prosa cesellata, minimale riesce nell’intento di descrivere i luoghi con allusività, mimare un parlato piano, e delineare in maniera icastica l’avanzare di Libera. Perché nel procedere arcadico della protagonista sopravvivono le fascinazioni e le inquietudini della cultura contemporanea, Libera e l’Uomo-Somaro somigliano ai pellegrini de La strada di McCarthy, sono due viandanti alla ricerca dello sconfinamento in territori ulteriori come lo scrittore e il bambino ne La lucina di Moresco.
Le storie di Matteo Meschiari sono racconti da sussurrare ai bambini, in modo da iniziarli a uno sguardo diverso, più consapevole e completo rispetto alla cultura che ha nutrito i loro genitori. Allo stesso tempo sono meccanismi formali complessi in grado di soddisfare la mente più arguta.
È doveroso guardare a questo autore che non si interessa delle beghe quotidiane di questa o quella classe sociale, ma abbraccia tutto ricordandoci che il vero atto politico è ripensare la dialettica con il pianeta che ci è stato dato da custodire.
(Matteo Meschiari, L’ora del mondo, hacca edizioni, 2019, euro 15, pp. 175, articolo di Giovanni Bitetto)
LA CRITICA
Un favola contemporanea che mette in luce l’importanza del luoghi e riflette sul rapporto fra specie umana e potenzialità dell’ente naturale.
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