“Before and After Science” di Brian Eno

di / 19 maggio 2012

Perché parlare oggi di un disco del ’77, seguito per di più da numerosissimi altri dello stesso artista? Be’, direi almeno per due ragioni. Intanto perché si tratta forse semplicemente di un “classico”, di uno di quei lavori in grado di essere apprezzati ieri, oggi e domani. E poi perché chi, come me, ha qualche difficoltà ad avvicinarsi a prodotti che sembrano risentire (o meglio ancora, in questo caso, contribuire alla fondazione) di una certa estetica anni Ottanta, può trovare in Before and After Science svariati elementi per una radicale riconsiderazione dei propri gusti e delle proprie opinioni: cosa che al sottoscritto piace e suppone possa interessare anche ad altri.
Pur trattandosi di un album piuttosto sfaccettato, è difficile negare infatti una qualche adesione del musicista di Woodbridge (almeno in riferimento ad alcuni dei brani qui presenti) a stilemi che saranno molto in voga negli anni da lì a venire – certe sonorità, certe ritmiche, una certa modulazione del cantato –, il tutto ovviamente sempre filtrato attraverso la sua personalissima prospettiva e elaborato con l’ausilio di musicisti del calibro di Phil Collins, Percy Jones, Phil Manzanera, Robert Fripp, Joachim Roedelius e Möbi Moebius, tanto per citare solo alcuni dei collaboratori del disco in questione.
Possiamo approssimativamente dire che Before and After Science si divide in una prima parte (dalla traccia 1 alla 5) più vitale e per certi versi giocosa e in una seconda (dalla traccia 6 alla 10) più pacata, seriosa e nostalgica.
“No One Receiving”è un pezzo dalla strumentazione molto ricca (batteria, gong, percussioni sintetiche, basso, sintetizzatore, chitarra, piano, voci), la cui ossatura di base è fornita dalle rullate in dissolvenza di Phil Collins – puntuale come un metronomo –, dal basso e dalla chitarra ritmica di Paul Rudolph; attorno a questi ruotano poi gli agitati fraseggi di Percy Jones, gli sparsi colpi di gong, le gracchianti tastiere e i multiformi inserti di Eno. Il ritmo è vivace e il cantato a più voci è melodico e soave, disteso e non privo magari di un certo caricaturale trasporto.
Con “Backwater” le atmosfere continuano a essere leggere e spensierate; viene meno persino il lieve lirismo del brano precedente, per lasciar totalmente spazio a un sound ludico sin dalle primissime battute in cui gli insistenti, gai e asciutti accordi di piano dialogano con un basso dal giro spassoso e dal timbro corposo e nasale.
“Kurt’s Rejoinder”è invece, a mio parere, un magistrale esempio delle virtù schizoidi di Eno che qui intona, con fare distaccato e volutamente scolastico, una specie di briosa filastrocca; il basso funkeggiante e il ritmo incalzante delle percussioni fanno poi da palcoscenico ai campionamenti vocali di Kurt Schwitters (dalla “Ursonate”), alle convulse incursioni di Percy Jones, al jazz piano e alle variopinte sonorità sintetiche sparse qua e là lungo tutta la traccia e modellate con creatività ed eclettismo dallo stesso Eno.
Si arriva così a “Energy Fools the Magician, breve e suggestivo brano in cui sembra regnare un clima di mistero, sospensione e vaga inquietudine, tra tastiere la cui resa potente e severa è in buona parte legata a un massiccio impiego del chorus e scarni mormorii di chitarra riverberata; a catturare più di ogni altro l’attenzione sembra però essere, ancora una volta, Percy Jones, la cui meravigliosa parte di basso – sommata all’incisività di Phil Collins sublimata dai tre colpi finali di grancassa – vale da sola, probabilmente, l’intero album. Provare per credere…
“King’s Lead Hat”, pubblicata come singolo nel 1978, è l'unica canzone che vede la partecipazione del leader dei King Crimson, Robert Fripp (lui e Eno hanno dato vita a numerose collaborazioni), alla chitarra solista.
Su un crescendo di batteria, chitarre ritmiche e basso, si innestano dapprima le note di un piano minimale e dissonante che sembra aver fatto propria la lezione dei Velvet Underground – pur traslata qui in chiave goliardica, reinterpretata cioè alla luce di quell’originalissima ironia che è poi verosimilmente uno dei tratti distintivi dell’Eno’s style – e poi le varie voci dell’artista britannico che nelle strofe si alternano e nel ritornello, al contrario, si fondono in un coretto dal sapore marcatamente Eighty’s. Il culmine di questa traccia movimentata e persino ballabile è rappresentato poi dall’ingresso della chitarra di Fripp, inizialmente petulante e a seguire multiforme, scintillante, caleidoscopica, tonda e quasi “acquatica”, carica di espressivi delay e riverberi.
In “Here He Comes”, Eno si avvale per la prima volta, tra i vari strumenti, di un sintetizzatore Moog (il Mini-moog sarà invece utilizzato nel brano successivo); il ritmo, sempre uguale a se stesso, fa da accompagnamento alle voci all’unisono del cantante e musicista del Regno Unito, voci delicate, dolci e permeate da quello slancio riscontrabile del resto anche negli arpeggi di chitarra, negli accenni pianistici e, soprattutto, nel sobrio ma al contempo rapito e toccante assolo di basso in cui Paul Rudolph si cimenta all'incirca alla metà del pezzo.
Si giunge quindi a “Julie With…”, forse il brano più malinconico insieme al successivo, tutto pervaso da un senso di apertura e di angosciante vastità; sullo sfondo, sonorità spettrali e vagamente psichedeliche si trascinano stancamente da un canale all’altro, mentre il testo evoca un alienante scenario marittimo e la chitarra di Eno langue echeggiando tra le increspature dell’acqua “sempre più scura”.
“By This River” (firmato Eno, Roedelius, Moebius) deve forse la sua relativa popolarità in Italia al fatto di essere stato inserito nella colonna sonora del film La stanza del figlio di Nanni Moretti. Incomparabile gioiello di semplicità, la forza di questa canzone risiede verosimilmente, anzitutto, nell’efficacia poetica dell’indimenticabile tema suonato al piano elettrico da Roedelius, accompagnato dal PianoBass di Moebius e dalla voce amareggiata di un Eno che dipinge con pacata rassegnazione uno scenario di assoluta apatia, esistenziale smarrimento e ineluttabile incomunicabilità («Tu mi parli come se fossi lontano, ed io rispondo con impressioni scelte da un altro tempo»); non meno struggente è infine il brevissimo ed “elementare” solo di tastiera che preclude alla terza ed ultima strofa.
“Through Hollow Lands”, interamente strumentale e privo di percussioni, è un pezzo decisamente dimesso e indugiante, la cui triste melodia, intonata dalle chitarre, è solo vagamente scalfita da isolati e acuti accordi di tastiera che sembrano infondere al tessuto armonico, seppure per un brevissimo istante, una sorta d' illusorio impulso “ottimistico” subito risucchiato però nel baratro del mesto torpore generale.
Ultima e a mio avviso riuscitissima fatica del disco è “Spider and I”, eseguita dai soli di Brian Eno (voci, tastiere e sintetizzatore AKS) e Brian Turrington (basso). L’ariosa, solenne e inebriante introduzione apre il campo a un cantato (ancora una volta a più voci) trasognato e pregno d’estatica devozione; accordi maestosi, sacrali e quasi liturgici evocano con ispirata maestria uno scenario d’assoluta, abbagliante, ultraterrena e sconfinata quiete, per un Brano dal fasto sconquassante col quale Eno sembra volerci omaggiare, a mo’ di congedo, della sua personale rappresentazione del “paradiso”.
Per chiudere, una piccola curiosità in grado magari di gettare luce sulle particolari condizioni in cui può trovarsi a operare un musicista del nostro tempo; per chi non lo sapesse, Eno è stato infatti l’ideatore del famosissimo jingle d’avvio di Windows 95, a proposito del quale dichiarò: «La Microsoft mi chiese una musica capace di ispirare, universale, ottimistica, sexy, futuristica, sentimentale, emozionale, più un’altra serie di circa centocinquanta aggettivi, e conclusero dicendo che il brano doveva durare tre secondi e un quarto. Da allora ho composto 84 di questi piccoli pezzi, sicché quando ritorno a lavorare su brani della durata di tre minuti questi ultimi mi sembra siano come oceani di tempo».

 

(Brian Eno, Before and After Science, Polydor Records, 1977)

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