“La ninfa incostante” di Guillermo Cabrera Infante

di / 10 novembre 2012

Cosa accade quando la scrittura prende vita propria, e non si limita a veicolare un contenuto, ma anzi lo scavalca e lo modella a suo piacimento? Quando sono assonanze e rime a fare da traino a trama e personaggi? La ninfa incostante (Edizioni SUR, 2012) ne è un esempio perfetto, ed è l’autore stesso a indicarcelo già dalla copertina, dove scopriamo che il titolo, volutamente o no, fa rima con il suo nome: Guillermo Cabrera Infante.
Un romanzo che è in fin dei conti un soliloquio, quasi un primo piano sulle percezioni e il punto di vista di un solo personaggio, un critico cinematografico – facilmente riconducibile a un alter ego dell’autore – che si invaghisce di una ragazza molto più giovane di lui, acerba, spontanea, di un’ingenuità che a tratti rasenta l’ignoranza: Estela Morris. Lui fugge da una famiglia e una vita monotona, lei da una madre opprimente e da una casa che non sente sua.
Sullo sfondo, come sempre L’Avana, calda, esotica, iperbolica, quasi un ulteriore personaggio che anima le opere del cubano dai tempi di Tre tristi tigri, e che non smetterà mai di figurare nei suoi scritti, nonostante il lungo e forzato esilio.
Romanzo postumo, La ninfa incostante non è che la storia di un incontro, dello strano incrocio di due vite completamente diverse, quasi opposte, per età, sesso, interessi, sentimenti. E che però diventa ben presto sogno erotico e ossessione: «Lei si era impegnata a contaminare ogni cosa. Era diventata una vera a propria infezione. Si era completamente impossessata di quell’estate, proprio come un batterio si impossessa della vita». Inebriato dalla bellezza di Estelita, dalla sua inesperienza, il protagonista si lascia coinvolgere in una relazione fatta di sesso, parole mal pronunciate, motel e dialoghi esilaranti. A segnare il ritmo della narrazione sono proprio le assurde conversazioni tra i due, punteggiate di riferimenti che puntualmente Estela non capisce, né tenta mai di approfondire.
Un incontro, un’estate, una storia che si sarebbe potuta narrare in poco più di qualche pagina, e che si trasforma, nelle sapienti mani dell’autore, in una grande opera metaletteraria, in cui i codici di scrittura, letteraria, musicale ma anche e soprattutto cinematografica, si intersecano e creano una trama tutta retta sul gioco, sull’umorismo. Come sottolinea Mario Vargas Llosa nel breve saggio che introduce il romanzo, per Cabrera Infante «l’umorismo non è, come per tutti i comuni mortali, un divertissement dello spirito, un semplice intrattenimento che rilassa l’animo, ma un modo compulsivo di sfidare il mondo così com’è e di mandare all’aria le certezze e la razionalità su cui si sostiene, facendo luce sulle infinite possibilità di delirio, sorpresa e assurdità che nasconde, e che, in mano a un abile giocoliere del linguaggio come lui, si possono scambiare per abbaglianti fuochi d’artificio intellettuali o per delicata poesia».
È dunque il linguaggio a essere il vero protagonista del romanzo, un linguaggio diretto e ammiccante, arricchito da citazioni colte, latinismi e anglicismi, ma sempre fortemente ironico, brillante, leggero. Aprendosi a vari livelli di lettura possibili, La ninfa incostante è un omaggio alla scrittura in sé e per sé. E non è forse questa una delle caratteristiche che segnano il lieve confine tra narrativa e letteratura?

(Guillermo Cabrera Infante, La ninfa incostante, trad. di Gordiano Lupi, SUR, 2012, pp. 267, euro 15)

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