“TOY” dei TOY

di / 19 novembre 2012

Ogni anno si perde il conto delle band che vengono accolte e definite next big thing: giovani speranze e promesse musicali che ricevono gli onori della cronaca grazie a un disco d’esordio con tutti gli attributi necessari. Poi basta guardare un attimo in dietro e rispolverare la memoria storica musicale e ci si accorge che sono veramente pochi quelle capaci di mantenere le promesse e tenere alto il livello nel tempo. Per bontà non citeremo chi non è stato all’altezza della definizione, mentre, se vogliamo nominare chi non ha ancora deluso – e speriamo non lo faccia mai – potremmo chiamare in causa gli Horrors: gran bell’esordio e altrettanto grande la consacrazione con lo stupendo Skying di un anno fa, osannato e celebrato all’unanimità. Ci piace citarli anche perché hanno qualcosa a che fare con la band di cui ci occuperemo in questo articolo e che si inserisce nel gruppo delle next big thing di cui parlavamo. Gli Horrors, infatti, hanno da poco stretto un bel sodalizio con un gruppo emergente londinese, nato dalla scena indie, dal titolo diretto, ma al contempo pieno di sottoriferimenti: i TOY.

Considerata la caratura del disco d’esordio omonimo e una volta finito l’ascolto integrale delle dodici tracce che lo compongono, non si può che augurare al gruppo di non fermarsi alle prime etichette affibbiate dalla critica e di continuare su questa strada ancora a lungo. TOY è un disco davvero notevole e positivamente sorprendente, dotato di una carica e di una bellezza che arrivano impetuose. I cinque ragazzi, capitanati dal vocalist e chitarrista Tom Dougall, hanno appreso bene la lezione dei padrini orrorifici e aggiungono alla base un interessante spunto melodico di chitarre a volte distorte a volte quasi orchestrali, con dei momenti in cui le tastiere di Alejandra Diez aggiungono quel tocco in più che rende le canzoni originali e rilevanti. “Colors Running Out” riassume il tutto e permette anche di accennare l’eccelso lavoro ipnotico di basso fatto da Maxim “Panda” Barron; il ritornello permette già di lasciarsi andare definitivamente. Ancora più felice l’arrivo di “The Reason Why”, dove la bravura del batterista Charlie Salvidge parla da sola. Qui, come in tutto l’album. I quasi otto minuti di “Dead & Gone” non annoiano, anzi, la coda finale permette alle chitarre di liberarsi senza remore. Da qui in poi la formula vincente non si cambia, fino alla conclusiva “Kopter”, mastodonte di dieci minuti che pone fine all’ascolto.

Le basi, insomma, ci sono e TOY lo dimostra palesemente. Lapertura di quel baule vittoriano pieno di giocattoli da cui è nato il nome della band e del disco, ha portato risultati tanto belli da renderci quasi ottimisti per il bis.

 

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