“Da mani mortali” di Biancamaria Frabotta
di Fabrizio Miliucci / 14 dicembre 2012
Da mani mortali di Biancamaria Frabotta (Mondadori, 2012) affianca alla raccolta che dà nome al libro anche i precedenti Gli eterni lavori (San Marco dei Giustiniani, 2005) e I nuovi climi (2007), offrendo una panoramica della poesia più recente della poetessa e professoressa romana.
La trama del pubblico e del privato compone la tela di questa musica solida e molle. Biancamaria Frabotta accompagna il lettore lungo i suoi versi senza mai abbandonarne la compagnia, senza negare la sua presenza di premurosa padrona di casa persa fra i fiori e le erbacce del giardino in mostra, nell’intimo di una confessione davanti una tazza di tè, su una vecchia foto ingiallita che ritrae gli amici della vecchia stagione, i poeti.
Amici, non date retta a chi vi lusinga
per tenervi alla sua altezza, che è poca.
Perché perdervi dietro la traccia fangosa
dove vera indignazione non alberga?
Su quel molle limo, piede di poeta
non s’avventura, né imprime impronta.
Si lasci alla sua boria, il tirannello
di labile memoria. A sue spese impari.
A che gli vale amarla la poesia
se ricambiarla non gli è dato?
I poeti saranno invocati ogni volta che la coscienza della Frabotta si troverà ad attraversare momenti di smarrimento e dubbio per un mondo che non le corrisponde e che non sa riconoscerla. I poeti, come animali, alieni, o bambini perennemente in gioco, se ne stanno acquattati nel pelo del mondo e da lì possono contemplare i fatti umani e spandere il seme della salvezza. La poesia è il punto di approdo naturale della ricerca frabottiana, mantiene in sé un disinteresse estetico e morale che basta all’immobilità e alla goffaggine in cui spesso incappa.
Stabilito l’ordine morale delle corrispondenze, può esercitarsi l’”ospitalità” dell’autrice. Inizio e fine ne è la premura per piante, ortaggi, fiori, testimoni muti e assenti del tempo, segni di un passaggio sulla terra diverso, altro dalle pastoie della storia che si intuisce come il vero orrore che l’autrice, femminista e “sessantottina”, indica con certezza. E allora i fiori saranno come i figli, degni di essere contati per discendenza, a partire da un momento mitico e imponderabile in cui fu sconfitta l’insidia dell’inverno e finalmente qualcosa prese a essere (La prima generazione dei biancospini).
Lenti sono in questi orti i progressi
e qualche volta incorreggibili
come laggiù è il filo delle montagne
o la crescita abnorme delle zucche
che a terra si propaga in un disordine di serpe.
Anche noi, dispersi nel corso sordo delle cose
dovremo cambiare verso al sonno.
Non si dorme dalla parte del cuore.
L’autrice costruisce un linguaggio a cui appigliarsi che sembra essere esso stesso parte della trama. Referenti oggetti, citazioni sempre aperte e orgogliose, sicuramente un canone ristretto di influenze non consapevoli; il dettato di queste poesie composte in un arco di circa sette anni è soggetto a una lenta e impassibile eugenia che elimina le propaggini secche o inutili di sé. La freddezza della Frabotta versificatrice attira il lettore con un sorriso eccessivamente gentile per essere sincero, ancora, in lei, il gioco poetico è quello di confondere e disorientare. Dunque non è raro che i brevi strappi lirici si dilatino in chiusa inanellando terzine o distici irragionevolmente lunghi e sfacciatamente prosastici, l’impianto metaforico aumenta lentamente la sua portata e alcuni puntelli che possono tranquillamente definirsi stilemi tipici (poliptoto) tornano ad affacciarsi con regolarità. Biancamaria Frabotta è poetessa di lungo corso e, sottopelle, la sua riflessione si dimostra, oggi, ancora in piena dialettica interna.
Manca un fiore
alla tua tomba recente.
Non avertene a male
se la rubo a un vicino.
Nutrita è la sua scorta
e perdonerà il furto.
È la prima estate
che t’ho voltato le spalle.
Come quando il mare è solo, la sera
e si smette di guardarlo.
Presto l’osservazione dei casi umani va a schiantarsi contro il muro della morte. La cadenza del tema è, a partire da questo frammento delle Poesie scritte per Giovanna, ossessivamente visitato e attraversa tutto il volume senza risparmiare nemmeno l’emblema vegetale di una felice alterità. Testimone ne è il nume tutelare Bernardin de Saint-Pierre, l’inverno può devastare la presenza immobile di un giardino senza tuttavia sradicare il germe della vita, elemento naturale, sarà bene precisarlo, del movimento poetico frabottiano: «in verità le viti cominciavano / appena ad aprire i germogli».
Più che la morte dei filosofi, è la mancanza che lascia l’autrice attonita davanti un dolore che non viene mai penetrato dal verbo. La mancanza degli amici, degli affetti, la fine inconcepibile di una gioia che pure si era intuita nella sua eternità. E, come le piante, anche i poeti possono esserne toccati, «il poemetto “Il gesto più gentile dell’amicizia” si riferisce a una casuale visita nella notte di Capodanno del 1º gennaio 2006 alla villa La Rondinaia, dove Gore Vidal visse e lavorò per quasi un trentennio insieme all’inseparabile amico Howard Austen. Dopo la morte di Howard e il ritorno in patria dello scrittore americano la villa restò per qualche mese intatta, completa di mobili, arredi e preziosi cimeli», scrive l’autrice in un breve auto-commento posto a chiusura del volume, licenziato qualche mese prima che lo stesso Vidal ci abbandonasse a metà di questo tristissimo 2012.
Vattene, Presidente, dai cieli
dai soli, dalle nevi, dagli uccelli
in fuga dalle tue bombe intelligenti […]
La riuscita meno felice di questa ultima produzione la ritroviamo nella rima facile della poesia d’occasione, che ricorda l’avventatezza del giovane incastrato nel paradigma cieco della poesia-come-contestazione. Nel caso di questo poemetto a chiusura di Visite di calore, l’occasione è, ci ricorda ancora l’autrice, la visita romana di G.W. Bush del 2007, quando la guerra in Iraq era in corso.
In conclusione, dividere il tempo necessario alla lettura con questo Da mani mortali è gesto che può con semplicità riconciliare anche lo spirito più desolato, purché provvisto del germe dell’ottimismo, circa il destino di una poesia sempre più avvilita da animi compromessi che dalla scuola del troppo cinismo non riescono ormai che a distillare bruttura. Lo scandalo del poeta-bambino e di una poesia come sguardo disinteressato (e sarà bene sottolinearlo: disinteressato) oggi più che mai ha bisogno di interpreti forti, integri, che anche in prospettiva sappiano lanciare un monito ai colleghi più smaliziati circa la «pigra attesa propizia alla poesia spesata».
Vantando una comune discendenza
siedono sotto una fila di ombrelloni
i poeti di Roma. Fra loro Valentino loda
la pigra attesa propizia alla poesia spesata.
Discretamente assiepati più a nord
i poeti della pianura sospirano spaesati
il vicino autunno. Fra le due linee
dell’ombra, io sola imbronciata non godo
la frescura delle distinte pagode
rischiando l’insolazione degli indecisi.
(Biancamaria Frabotta, Da mani mortali, Mondadori, 2012, pp. 158, euro 15)
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