“Un bravo ragazzo” di Javier Gutiérrez
di Mattia Pianezzi / 16 gennaio 2013
Un bravo ragazzo di Javier Gutiérrez (Neri Pozza, 2012) è la storia di un gruppo di ragazzi della Madrid universitaria di fine anni Novanta, un gruppo distrutto da un evento misterioso e dai contorni foschi che li ha fatti dividere.
Il romanzo si apre su un pomeriggio invernale madrileno: un incontro fortuito con un fantasma del passato, la “pura” Blanca, in mezzo alla confusione di una strada trafficata. Il personaggio principale è Rubén Polo, trentenne, ex membro di un gruppo rock; insieme a lui Nacho e Blanca, fratelli, e Chino, ora marito di Blanca.
Il libro è diviso il cinque capitoli; ognuno porta il nome di un album miliare degli anni Novanta; da Maxinquaye di Tricky a Nevermind dei Nirvana. Sono i cinque album da portare su un’isola deserta secondo il protagonista.
La prima caratteristica notevole dell’opera di Gutiérrez è il punto di vista: il narratore è interno a Polo, ma in seconda persona. Tutto il terreno della narrazione è di conseguenza dissestato e confuso come la mente del protagonista; in una dialettica continua le linee temporali si sovrappongono e si scambiano senza tregua, i dialoghi si intrecciano ai pensieri, i fatti ai sogni, ai ricordi. Si procede tra le pagine scoprendo riferimenti perturbanti, collegamenti a un passato idealizzato dal protagonista ma che nasconde anfratti oscuri, macchie del periodo in cui il gruppo andava a gonfie vele; inoltre, il nome di un farmaco, insieme alle inquietanti figure dei gemelli Álvaro e Dani, torna spesso a disturbare la mente di Polo: il roipnol. Rubén si accorge dei suoi problemi anche nei rapporti con la sua ragazza, Gabi. Decide così di vedere uno psicologo – senza nome – che si accorge e afferma limpidamente ciò che succede nella mente del narratore: «Quel che sta facendo il tuo subconscio è sovrapporsi alla realtà, manipolandola».
Questo è ciò che avviene nel corso di tutto il romanzo: la mente di Polo scinde il Polo del passato da quello odierno e lo difende da tutto ciò che di oscuro c’è stato, da ogni colpa (senza consapevolezza non c’è colpa), nasconde tutto lasciandone però i segni nella vita di tutti i giorni del ragazzo, che non riesce più a emozionarsi né ad amare.
I bravi ragazzi del titolo, rampolli della borghesia madrilena, non sono poi così “bravi”. Il loro passato li perseguita, fino ad arrivare al confronto con loro stessi – nel caso di Nacho – o con gli altri – nel caso di Polo.
Gutiérrez divide e scambia spesso il narratore col punto di vista, rendendoci complici e vittime della mente del protagonista; questo ci costringe a continuare a leggere, ad entrare nella spirale soffocante del romanzo per uscirne solo all’ultima pagina. Con grande piacere.
(Javier Gutiérrez, Un bravo ragazzo, trad. di Silvia Sichel, Neri Pozza 2012, pp. 176, euro 15)
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