“Assalto a un tempo devastato e vile, Versione 3.0” di Giuseppe Genna

di / 29 luglio 2010

Assalto a un tempo devastato e vile, Versione 3.0 (Minimum Fax, 2010), di Giuseppe Genna, esce nella sua terza stesura, con un nuovo editore (gli altri furono nell’ordine peQuod e Mondadori). Il libro non può essere definito con un unico termine nel suo complesso: i capitoli che lo compongono difatti godono di una larga autonomia e spaziano da quello a carattere prevalentemente autobiografico a quello di pura finzione. Altri invece assumono la forma del saggio oppure dell’inchiesta giornalistica (interessantissimo a questo proposito è il capitolo dedicato a Scientology). Non nascondiamo che abbiamo incontrato delle difficoltà nel leggere ognuna delle oltre trecento pagine. A tratti il libro ci appare scontato, a volte quasi irritante, specie quando l’autore ci parla dei suoi mali d’amore. Non ce ne voglia Genna, ma anche le descrizioni che fa dei suoi malesseri fisici più che farceli apparire tragici ci suscitano alquanta ilarità. Esemplare la descrizione di una gastroscopia dipinta con i toni di un operazione difficilissima e rischiosa e come tale, affrontata dal protagonista con stoico coraggio.

Che questo sia stato l’esordio letterario di Genna un po’ ci lascia perplessi, ma per fortuna non tutti sono miopi alla nostra maniera. Difatti chi dietro a questo lavoro aveva fiutato sostanza di certo non si era sbagliato. Genna lo abbiamo apprezzato e continuiamo a stimarlo per i grandi gialli che ci ha regalato. La saga dell’ispettore Lopez, ad esempio, è una piccola pietra miliare della letteratura di genere contemporanea italiana, che non a caso è molto apprezzata anche all’estero.

Ma questo lavoro, almeno nella sua forma attuale, è troppo ridondante, barocco, pieno di fronzoli superflui che allungano “una brodaglia già di suo un po’ insipida”. Certe volte poi si inoltra in elucubrazioni talmente complesse che seguirlo diventa davvero un impresa ardua. Le difficoltà maggiori si incontrano soprattutto quando ad affiorare sono le sue passioni filosofiche, in particolare quella verso la filosofia della mente, disciplina che coltiva fin da studente.  Non è un caso, infatti, il frequente  ricorso all’uso di termini tecnici attinti direttamente da tale disciplina.

Genna in questo libro sembra avere, purtroppo, la capacità di banalizzare quasi tutto. Anche ciò che c’è di buono finisce col ribaltarsi nel suo contrario. Una cifra stilistica assai interessante dell’autore è il frequente ricorso che fa a delle immagini molto ben congeniate. Purtroppo però, anche le metafore più belle, ed il libro ne è tappezzato, perdono tutta la loro dirompente potenza e poesia perché vengono profuse in maniera gratuita.

Per nulla edificante poi ci appare la facile critica che compie nei confronti della Milano di Calvairate, una periferia molto degradata. Sparare a zero sul microcosmo che ci ronza attorno è un’operazione molto discutibile oltre che troppo facile, ma peggio ancora è sfruttare la provenienza da quei luoghi per crearsi attorno l’aura di “maledetto”.

Così viene da chiederci per quale motivo uno scrittore di buona fama e grandi aspettative sia andato per l’ennesima volta a riesumare quella prima pubblicazione. Che non sia per l’ossessione che lo scrittore ha per le riesumazioni ed i cadaveri? Comunque, al contrario di quanto possa sembrare, riteniamo positiva la volontà dell’autore di non considerare questo libro chiuso. Certo, per farci contenti, dovrà invertire la rotta: invece di ampliarlo auspichiamo, alla prossima edizione, una consistente riduzione.

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