“Libro” di José Luís Peixoto
di Silvia Meschino / 25 giugno 2013
Un romanzo così profondo che si insinua sotto pelle.
Libro, di José Luís Peixoto (Einaudi, 2013), ti travolge e non ti lascia possibilità di movimento: immobile, sospeso nel tempo affronti il tuo viaggio epico insieme al piccolo Ilìdio, solo e in attesa, accanto alla fontana di un piccolo paesino portoghese.
Libro inizia con un abbandono. La madre pone nelle mani del figlio un libro e gli raccomanda di «non dimenticarlo mai», come se il loro legame potesse essere riposto in quell’oggetto. L’ultimo abbraccio e poi l’addio silenzioso.
Quel bimbo innocente, tanto amato, ogni giorno le ricorda la paura che ha del padre: «una paura scura e mortale», lei non ne parlava mai ma in quei silenzi c’era odore di violenza.
La tristezza di quel giorno pregna per sempre il suo cuore di bimbo. Ilídio cresce allevato da Josué, diventa un ragazzo vivace e si innamora perdutamente di Adelaide, l’unica donna che abbia mai amato oltre a sua madre. Quel sentimento candido viene minato dalla partenza improvvisa dell’amata, obbligata dalla zia ad attraversare il confine della Francia clandestinamente. Adelaide è terrorizzata, si sente «sanguinare dentro, sentiva che l’interno della pelle le sanguinava e che tutto quel sangue si accumulava, liquido, spesso, e che sarebbe bastato sfiorarle un lembo per farlo travasare fuori e ucciderla».
Questa volta, però, Ilídio non rimane fermo ad aspettare ma decide di combattere per loro, affrontando un viaggio impervio e pericoloso.
I giovani protagonisti abbandonano quindi la tranquilla vita rurale dell’entroterra portoghese e vengono scaraventati nelle assordanti strade della mitica Parigi, «vero e proprio oceano» di profondità, come la definì Balzac; ne vengono inghiottiti e si perdono. Il loro candido amore viene serbato fuori dal tempo e dalle impurità.
Il romanzo sembra accingersi a una tragica conclusione, quando Peixoto ci proietta, senza preavviso, nella seconda parte della narrazione. È allora che scopriamo l’identità del narratore e lo conosciamo tramite i suoi libri: «i libri che ho sugli scaffali compongono il disegno di me stesso: ciò che voglio ricordare e ciò che non voglio dimenticare», si rivolge al lettore in prima persona, interagisce con quest’ultimo e lo rende fruitore attivo dell’opera. L’autoreferenzialità della seconda parte del romanzo ci conduce a una riflessione sull’oggetto-libro, già suggerita a partire dal titolo: Libro non è solo il libro che il piccolo Ilídio porta sempre con sé; ma in sé abbozza il ritratto dell’autore e, ancor più, riflette l’immagine di un’intera nazione.
È un libro pregno di emozioni e di grandi dolori che trascina il lettore sulle tracce di un immane accadimento storico degli anni Sessanta: l’emigrazione clandestina verso la Francia di migliaia di portoghesi. Peixoto ha composto un’opera molto ambiziosa dal titolo audace: Libro vuole imporsi come il libro patriottico, così dichiara l’autore, della letteratura portoghese. Lo scrittore sente il forte bisogno di raccontare ciò che ha ascoltato durante tutti i pranzi di famiglia: la grande emigrazione. Vuole narrare il disagio vissuto da un’intera popolazione, ne sente l’esigenzarecondita. Si incorona nuovo scrittore-vate, si libera così di un dovere o, come lo definì lui stesso, di un segreto. Compie questo atto eroico per sé, per la sua famiglia e per rendere giustizia a tutti quei portoghesi che in Francia non sono mai arrivati, non vuole permettere che vengano dimenticati.
Peixoto urla la violenza e la sopravvivenza di un popolo per riaffermarne la dignità nazionale: un libro intenso, tagliente, che ti lascia la sola amarezza di essere già giunto alla fine.
(José Luís Peixoto, Libro, trad. di Sandra Biondo, Einaudi, 2013, pp. 304, euro 16)
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