“Sparire” di Fabio Viola
di Cristiana Saporito / 8 luglio 2013
Sparire. Come per incanto. Come per inganno. Il prestigio di un gioco che froda anche l’aria.
Ammutolire il tempo e non esserci più. Sparire come quando si comincia una storia e la si impasta a tal punto da mimetizzarsi, nella fauna di virgole e svolte inattese. Fino all’ultimo punto.
Sparire come quando si scrive e s’incarna la pagina in cui ci si rintana. Come quando ci si veste e il cappotto t’inghiotte. Perché ogni riga è un nascondiglio. Fabio Viola è sparito nel suo secondo romanzo. Che appunto s’intitola così. Sparire (Marsilio, 2013).
La trama vuole che Ennio, figlio dell’alta borghesia romana e di troppe giornate defenestrate senza cura, decida di partire alla volta di Osaka. Elisa, la sua ex ragazza, è lì da più di un anno a insegnare italiano.
Ma da un periodo ormai sospetto non dà alcuna notizia di sé. Sembra nebulizzata, sparita, per rimanere in tema. E allora Ennio s’invola. S’immerge nel Giappone psichedelico, nei gorghi di sopraelevate, nei giardini digitali di luci liquefatte. Dove i treni, come la solitudine, sono sempre puntuali.
Vuole ripescarla, per una nota misticanza di nostalgia e possesso, per arrivare a capo di un corpo che non lo guarda più. Affronta un colloquio per essere assunto nel suo stesso istituto, per ricucire le sue tracce come un valente commissario assoldato dal miglior giallista. Ma da quel momento prende avvio un altro viaggio. Imprevisto, tortuoso. Quello di Ennio in mezzo a un alveare. La scuola Hoshi col suo aspetto anallergico e con le sue asettiche presenze oscure; colleghi sfuggenti, donne impalpabili, scomparse irrisolte. E più cerca di ricostruire, di ricomporre i pezzi, più perde altri frammenti, porzioni di controllo che si sfaldano, sfarinandosi in vertigini sempre più imponenti.
Capisce perciò che la sola soluzione possibile è iniziare a mentire, fabbricarsi le risposte che non potrà ottenere. La realtà non lo soddisfa: i nuovi falsi amici, gli appuntamenti spenti, le chiacchiere sghembe a cui non può cavare se non altri dubbi ancora. La sua fame di sapere cresce, è forse il solo mestiere che sente di dover esercitare in una vita in cui lavorare non è mai stato un bisogno. Ma la verità si assottiglia, diventa una strada sterrata, di sensi vietati e ben poco sensati. I genitori di Elisa premono per avere informazioni, per colmare quel dirupo di chilometri con un po’ di sollievo. Ed Ennio provvede con delle versioni prêt-à-porter. Invia mail consolatorie e plausibili. Diventa Elisa, rassicurando i suoi nel modo più credibile.
E lo stesso succede con gli amici di Roma, a cui fornisce sfumature e narrazioni sempre differenti. Scampoli immaginari e verosimili in cui si inventa felice, realizzato accanto a un’altra donna e non alla sua fissazione. L’architettura delle sue menzogne si dilata di continuo. È la megalopoli assordante di tutte le sue angosce. Così grande da essere abitata, da confondersi col vero. Nella mente di Ennio che non ritrova più casa e negli occhi del lettore, che scivola nei crocevia fulminati di un’allucinazione.
In cui a sparire è anche la comprensione, il filo della ragione. In cui ogni dialogo è inverso, pronto a ribaltarsi nel suo limpido contrario. Perché non è Osaka il buco nero, l’ammasso di materia che assorbe ogni passante. La testa di Ennio mangia molto di più. Come Cronos. Elisa riappare. O forse no. Il terremoto, lo tsunami, quello geologico del 2011 che incornicia quello interiore, sono l’unica certezza. E mentre l’asfalto si squassa e l’attesa si sbriciola, Ennio continua ad avvitarsi su stesso, sui riflessi dei suoi mille sé.
Finché qualcosa arriva. Qualcosa che si chiama fine. Almeno apparente.
Il Giappone, che l’autore conosce molto bene, per averci vissuto per anni, assurge a metafora di un girone letale, caleidoscopio e labirinto, limbo e ossessione.
Tappa e traguardo di un romanzo che non sa chiudersi, che resta una bocca spalancata. Piena di non detti. Una resa incondizionata di fronte alla fiction, che prospera e divora. Un mostro onnisciente davanti a cui non si può far altro che ascoltare. E poi sparire.
(Fabio Viola, Sparire, Marsilio, 2013, pp. 288, euro 17,50)
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