“Z. La guerra dei narcos” di Diego Enrique Osorno

di / 26 settembre 2013

«Dopo aver iniziato a leggere l’articolo ti rendi conto che è uguale a quello che hai letto qualche giorno fa, e anche a quello che hai letto qualche settimana fa, e a quello dell’anno scorso e allora girerai pagina per conoscere altre novità. Massacri di ragazzini, crimini contro bambini, sindaci assassinati e giornalisti scomparsi […] sono talmente tante che il giorno dopo ce ne siamo già dimenticati». Le parole di Diego Enrique Osorno, tratte dal suo Z. La guerra dei narcos (La nuova frontiera, 2013), se da un lato tratteggiano lo stato d’emergenza che sta investendo il Messico negli ultimi anni, dall’altro fanno capire il motivo dell’allontanamento dell’autore da un giornalismo attraverso il quale «si alimenta nel lettore la sensazione – ingannevole e consolatoria – che il mondo giri troppo in fretta e che non ci sia il tempo materiale per fermarsi a fare ciò che una storia ben raccontata ti obbliga a fare: pensare». È con questa consapevolezza che Osorno ha intrapreso, anche con questo libro, la strada del giornalismo narrativo, prendendo le distanze dall’«attitudine statistica, da commentatori sportivi» con cui la maggior parte dei cronisti messicani affronta il tema della violenza legata al narcotraffico.

Ecco allora che il giornalista accompagna il lettore attraverso i territori nordorientali del Paese, negli stati del Nuevo León e del Tamaulipas. Un viaggio fatto di incontri e ritratti che fanno luce da una parte sull’isolamento delle amministrazioni locali, abbandonate da uno Stato troppo debole per intervenire; dall’altra sui rapporti che le legano ai cartelli del narcotraffico. Rapporti confusi che fanno sorgere il sospetto di legami tra amministrazioni locali, forze dell’ordine e narcos. Emblematico è il caso del sindaco di Santiago, in Nuevo León, ucciso dagli appartenenti a uno dei cartelli più potenti del Messico, gli Zetas, che sono di fatto il focus di questo libro. Un omicidio che alcuni interpretano come la punizione per l’ipotizzata collusione che legava il primo cittadino alla fazione opposta agli Zetas, il Cartello del Golfo, responsabile di una caccia agli uomini della polizia municipale, «collusi a tal punto con la criminalità organizzata (in questo caso gli Zetas, ndr) che non solo facevano finta di non vedere, ma  addirittura lavoravano per la criminalità compiendo arresti e portando le persone fermate in alcuni ranchos di loro proprietà».

La drammatica situazione che sconvolge il Paese e i suoi cittadini prende forma anche attraverso la narrazione della vicenda di un padre, un paramedico, che, girando di obitorio in obitorio, va alla ricerca dei corpi dei suoi due figli. «Cercare un figlio scomparso nello stato del Tamaulipas è come scendere agli inferi», scrive Osorno. «Quando il paramedico conobbe il presidente della Commissione statale per i diritti umani del Tamaulipas quest’ultimo gli chiese perché non aveva con sé almeno una pistola; la prima volta che andò a parlare con la segretaria del procuratore del Tamaulipas questa gli disse di lasciar perdere che non c’era niente da fare perché il Paese era in uno stato d’emergenza e che avrebbe fatto meglio a non mettere più piede da quelle parti. A San Fernando un altro funzionario della Procura gli confessò che nonostante arrivassero centinaia di denunce di scomparsa, non veniva istituita nessuna indagine. Che ognuno, a suo rischio e pericolo, doveva indagare da solo perché non c’era infrastruttura né il personale e, soprattutto, non arrivavano disposizioni superiori per aprire le indagini, nonostante il quartier generale dei gruppi in guerra fossero perfettamente individuabili».

Capitolo dopo capitolo Osorno tratteggia, inoltre, l’evoluzione del sistema dei narcos a partire dagli anni Settanta, mostrandone gli sviluppi fino agli ultimi tre anni (2010-2012), insanguinati dalla guerra tra la fazione guidata dal Cartello del Golfo e gli Zetas. Un viaggio nella storia che porta alla luce «la caratteristica fondamentale della criminalità organizzata in Messico», nata e sviluppatasi «grazie alle strutture dello stato, in particolar modo proprio grazie a quelle che in teoria esistono per combattere, appunto, la criminalità. Le gigantesche disparità di reddito e potere, insieme a fattori come lo scarso sviluppo della società civile, hanno favorito lo sviluppo delle condizioni che hanno portato il nordest del Paese a questa situazione». Dal reportage emerge l’affresco di uno Stato debole e colluso, che condanna all’isolamento le amministrazioni locali e che resta inerte di fronte ai problemi sociali del Paese. Questi, assieme alla crisi economica, sono il terreno fertile per lo sviluppo della criminalità in una società, che, priva di valori e assalita dalla paura, invoca soluzioni che scavalchino la legge.

(Diego Enrique Osorno, Z. La guerra dei narcos, trad. di Francesca Bianchi, La nuova frontiera, 2013, pp. 377, euro 15)

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