“La fattoria degli animali” di George Orwell
di Domenico Carelli / 26 settembre 2013
«Non doveva essere pubblicato», aveva duramente commentato parte di una certa intellighenzia all’uscita de La fattoria degli animali, titolo originale Animal Farm, di George Orwell, pseudonimo dello scrittore inglese Eric Blair.
Scritto a cavallo fra il 1943 e il 1944, il racconto cela la denuncia lucida e la satira poco velata del socialismo sovietico del tempo, ragion per cui fu respinto da quattro editori – la Russia era alleata dell’Inghilterra – e pubblicato solamente alla fine della seconda guerra mondiale.
Per una maggiore comprensione del substrato teorico, si rinvia alla prefazione al libro intitolata La libertà di stampa, in cui l’autore invita a sviluppare lo spirito critico, indispensabile, poiché «cambiare una ortodossia per un’altra non è necessariamente un progresso. Il nemico è la mente del grammofono, si sia d’accordo o meno con il disco che suona in quel momento».
Questa favola di esopiana memoria, ironica ma dal retrogusto amaro, è singolarmente attuale: proietta nel mondo animale dinamiche sociali e fantasmi comuni a ogni epoca, estendendosi all’analisi dei meccanismi del potere.
Il vento della rivoluzione agita la Fattoria Padronale, ribattezzata Fattoria degli animali dopo la cacciata del padrone-signor Jones da parte degli animali, stanchi di soprusi e angherie oltre ogni limite. In tutta la contea si diffonde rapidamente la prodigiosa notizia di una fattoria autogestita.
Ispirati dai principi egualitari dell’Animalismo sintetizzabili nella massima «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo», ormai affrancati e non più schiavi dell’uomo parassita e infingardo, i ribelli sognano la Repubblica («…tornerà l’età dell’oro!», recitava il loro inno), un’utopia che si frantumerà presto nella dittatura armata dei maiali, i quali avevano inizialmente assunto la direzione della comunità per la loro intelligenza di tipo superiore.
Dopo un breve idillio, pertanto, il lavoro torna a essere faticoso, le razioni di cibo ridotte, vengono meno gli agognati diritti, anzi, nuovi privilegi – di pochi – si profilano all’orizzonte, ma nessuno o quasi sembra accorgersi dei mutamenti. La voce del verro Clarinetto – personificazione della propaganda di partito – fugherà ogni dubbio, in nome del bene comune.
Fra le righe, personaggi storici come Marx, Lenin, Stalin, Trotzkij, il capitalismo, le lotte della classe operaia, la degenerazione delle ideologie.
Il punto di vista di Orwell è espresso dal saggio asino Benjamin, tra i pochi protagonisti della storia a comprendere quanto stia accadendo, pur senza evitare l’irreparabile. Si tratta della «bestia più vecchia della fattoria e la più bisbetica. Parlava raramente e quando apriva bocca era per fare ciniche osservazioni […], non rideva mai».
Nel corso della narrazione, episodi comici – tra sermoni e orazioni, riunioni clandestine nel granaio, battaglie epiche e scaramucce… l’avventura dell’alfabetizzazione e la cieca speranza nei «campi eterni di trifoglio» del misterioso Monte Zuccherocandito, situato «oltre le nuvole»– si alternano a immagini grottesche o addirittura inquietanti, come quella di un membro della casta dominante che inizia a camminare sulle zampe posteriori, fino al surreale epilogo in cui alcuni animali, spiando da una finestra, restano atterriti di fronte alla scena che si materializza all’interno della casa colonica: «Era come se il mondo si fosse capovolto».
(George Orwell, La fattoria degli animali, trad. di Guido Bulla, Mondadori)
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