“I giorni dell’arcobaleno” di Antonio Skármeta
di Roberta Biondi / 1 ottobre 2013
Quindici minuti possono bastare per cancellare quindici anni? Nel 1988, quindici anni dopo il colpo di stato che in Cile destituì Salvador Allende, il generale Augusto Pinochet decide di indire un referendum, un gesto che avrebbe dovuto dare alla sua dittatura una parvenza di legittimità e democrazia, mettendo il popolo nella condizione di determinare il proprio futuro. Quindici minuti, questo il tempo che viene concesso all’opposizione per lanciare la propria campagna a favore del No all’interno di un palinsesto completamente monopolizzato dalla dittatura.
Ne I giorni dell’arcobaleno (Einaudi, 2013), Antonio Skármeta racconta questo importante momento storico attraverso due vite che si intrecciano, quelle di Nico Santos e Adrián Bettini. Nico è uno studente che assiste impotente al sequestro del padre, il professor Santos, insegnante di filosofia colpevole di aver trasmesso ai suoi studenti i principi della giustizia, dell’etica, di aver dato loro uno spunto per pensare e per mettere in atto pericolose idee rivoluzionarie grazie alla conoscenza di Platone. Nell’affrontare questo sequestro Nico deve superare la difficile prova di essere il figlio di un possibile desaparecido, mantenendo vivi coraggio e determinazione di fronte a un periodo di stravolgimenti politici e sociali, nel suo personale passaggio all’età matura.
La storia di Nico, narrata in prima persona, si alterna a quella del padre della sua fidanzata, Adrián Bettini, uno dei pubblicitari più conosciuti del Paese che, dopo aver rifiutato di dirigere la campagna per il Sì al servizio di Pinochet accetta l’incarico ben più complesso di inventarne una a sostegno del No. Questa volta la narrazione è in terza persona, ma anche qui siamo di fronte a una sfida, alla crescita di un uomo che dopo tanto tempo si ritrova ad avere la possibilità di creare una via d’uscita da quella repressione che anni prima l’aveva privato del suo lavoro. Adrián deve trovare il modo di dare alla popolazione cilena il coraggio di dissentire, di cambiare, di agire. Il tutto ciò in soli quindici minuti: «Come si fa a trasformare una negazione in un’affermazione? Quelli il Sì ce l’hanno facile. “Sì alla vita!” “Sì al Cile!”». Come pubblicizzare una negazione “vendendola” come una liberazione, una svolta in positivo? È qui che nasce il simbolo della campagna: un arcobaleno. Un simbolo che racchiude l’eterogeneità dei partiti uniti contro la dittatura, un sinonimo di speranza, l’allegria che spunta dopo un temporale. Dalla storia di Bettini, e da una sceneggiatura inedita di Skármeta intitolata El plebiscito, sullo stesso argomento, è stato tratto anche il fortunato film No – I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larraín.
E sappiamo tutti com’è andata a finire. Il popolo ha deciso di volerla, questa svolta, e il primo segno si vede pochi minuti dopo la fine della trasmissione a favore del No: «Laggiù, dall’altra parte della piazza, stava accadendo qualcosa di strano. C’era una sagoma che girava vorticosamente. O erano due. A mano a mano che l’apparizione si avvicinava diveniva sempre più reale. Finché le due sagome si fecero nitide. Assolutamente reali. Una coppia di giovani girava senza sosta, piroettando al ritmo di un valzer muto: come se ballassero il ricordo di un valzer nella notte stellata. Volteggiavano sul lastricato della piazza solitaria, in lungo e in largo, e quando furono tanto vicino a lui da riuscire a sfiorarlo la ballerina gli gridò: “Vinceremo, signore! Vinceremo!».
Eccolo, il valzer del No, quello che ha cambiato la storia.
Skármeta ce lo fa ascoltare con delicatezza, con una scrittura leggera che però si fa strada, decisa, fra i giorni di buio che il Cile ha vissuto, ridisegnando la speranza e la possibilità concreta, autentica, di cambiare le cose.
(Antonio Skármeta, I giorni dell’arcobaleno, trad. di Paola Tomasinelli, Einaudi, 2013, pp. 184, euro 19)
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