“L’eco delle città vuote” di Madeleine Thien
di Rosangela Muscetta / 18 febbraio 2014
Janie ha lasciato la Cambogia poco più che bambina a causa dell’imperversare della guerra, per trasferirsi in Canada, seppellendo a Phnom Penh, sua città natale, i genitori, il fratello minore, i suoi ricordi e il suo vero nome Mei. Da qui ripartirà la sua vita: la famiglia adottiva, l’adolescenza, gli studi, l’amore e la gioia della maternità. Una circostanza inaspettata la riporta all’improvviso a tornare con la memoria a Phnom Penh, rimasta ormai quasi deserta dopo la spietata dittatura del 1975 per mano dei Khmer Rossi. Un giorno, infatti, Hiroji, collega e amico di Janie, le chiede di aiutarlo a ritrovare James, suo fratello scomparso durante la guerra. Per la protagonista sembra essere arrivato il momento di confrontarsi con il suo triste passato, e la sua apprensione si evince dalle parole che lei stessa usa per descrivere la condizione dei tanti cambogiani che hanno vissuto gli stessi orrori visti dai suoi occhi e vissuti sulla sua pelle: «Eravamo il sole al tramonto, nient’altro che la proiezione di luce sul muro».
Janie (Mei), in piena crisi esistenziale, cerca di ricostruire le tracce della sua famiglia, rivivendo la crudele realtà del regime dittatoriale, caratterizzato da fame, malattie e morte sempre in agguato. Così i brutti ricordi che ormai sembravano essere stati sepolti per sempre, ricominciano a farsi strada nella sua mente: dall’arresto del padre, alla sua deportazione insieme alla madre e al fratello in un campo di prigionia.
La protagonista sottolinea più volte come il suo infelice passato abbia lasciato profonde cicatrici che minacciano continuamente anche la tranquillità del presente: «Credevo che tutto il mio passato fosse una fantasia. Solo il presente era reale».
La Cambogia, sempre sullo sfondo di queste toccanti vicende, diventa così punto di incontro e di ritrovo dei protagonisti di un viaggio attraverso ricordi drammatici, che però aiuterà Janie a ricomporre il suo passato familiare e a ritrovare l’amore per il marito e il figlio, messo in crisi dalla sua inquieta personalità.
L’eco delle città vuote (66thand2nd, 2013) è un romanzo di personaggi sopravvissuti che sembrano rincorrersi, adoperando nomi e identità diversi da quelli originari, («a volte ci viene data una seconda, o anche una terza possibilità. Non ti devi vergognare di aver vissuto tante vite»), per sfuggire a una terra martoriata dalla terza guerra d’Indocina e a un passato che sembra non voler lasciare spazio al presente. L’eco del silenzio talvolta può essere assordante, soprattutto se a riempirlo sono le voci di ombre lontane.
Il libro conduce dentro la realtà di una terra distrutta dalle barbarie e dalla crudeltà umana, lasciando però trapelare una buona dose di speranza affinchè le cose cambino, insieme alla necessità di riaffermare che il diritto alla vita non può essere stabilito solo da un gruppo di esagitati rivoluzionari.
Allo stesso tempo la complessità del quadro narrativo riflette perfettamente il senso di smarrimento dei protagonisti; il focus si sposta continuamente su ognuno di essi nel corso dei capitoli come una lente d’ingrandimento, soffermandosi di volta in volta sulle varie sfaccettature della tragica vicenda umana presentata, lasciando però sempre a Janie la voce narrante.
Una buona prova per la scrittrice Madeleine Thien, resa possibile anche dall’utilizzo di un’ottima prosa e di un’accurata lirica.
(Madeleine Thien, L’eco delle città vuote, trad. di Caterina Barboni, 66thand2nd, 2013, pp. 240, euro 16)
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