“Organi vitali” di Frank González-Crussí

di / 13 marzo 2014

La maggiore originalità, del pur interessante Organi vitali (Adelphi, 2014), di Frank González-Crussí, si può dire risieda in un motivo conduttore da cui si rivelano unificati i sette capitoli, dedicati ad altrettanti apparati anatomici, tutti “vitali” almeno nella stessa misura in cui restano – con l’ovvia eccezione di quello riproduttore maschile, su cui pure, non senza inspiegabilità, l’autore commenta: «Nell’osservare il fisico maschile è difficile respingere l’idea che i genitali siano un’estensione, un’aggiunta a cose fatte» quasi frettoloso e maldestro rimedio di una dimenticanza, applicato là dov’è «con l’aria di contrito imbarazzo di chi si rimbrotta da sé» – , oscuri e misteriosi, nel buio totale del nostro organismo: quello digestivo, l’escretore, il respiratorio, il riproduttivo, appunto, sia femminile che maschile, e, infine, quello cardiaco.

Ora, già questo buio interno, questa incomunicabilità con la parte presunta “nobile” dell’essere nostro, la mente e il suo luogo geografico di residenza («I Greci,» chiosa l’autore «da incondizionati ammiratori quali erano delle facoltà speculative, stabilirono una gerarchia delle parti del corpo, nella quale il capo, sede del raziocinio, era naturalmente collocato in posizione suprema»), è per ciò stesso all’origine di quello che, in prima istanza, potrebbe sembrare il motivo unificatore del divagante libretto: la disamina cioè di alcune soltanto, fra le molte assurdità generate, nei secoli, dal tentativo di venire a patti con questi nostri intrattabili coinquilini.

Ecco, così, sfilare davanti ai nostri occhi, a metà fra l’amaro compatimento e l’illuministica riprovazione di tanta capacità di autoinganno, clisteri praticati perfino alle principesse regali di Francia, sotto gli occhi esterrefatti del Roi-soleil in persona, metri di colon inutilmente resecati perché presunti portatori, benché sanissimi, di «autointossicazione intestinale», bevande («gonfia di vino i polmoni», già esortava Alceo) che «scendono per il polmone fin sotto ai reni», come impavidamente pontifica Platone in Timeo, XLIV 91a, asseriti «prepuzii di Gesù» (e il plurale è d’obbligo, perché ne vantarono il possesso almeno otto diverse località della Francia, per tacere di Roma, dove era venerato in Laterano) e organi sessuali di Napoleone o di Rasputin giunti per traverse e furfantesche vie a placare le brame di danarosi collezionisti.

Eppure, come si diceva, non è questo, a una più attenta lettura, il motivo profondo d’interesse del libro; come, meno ancora, i numerosi aneddoti (l’uomo che sopravvisse a un’aggressione fino a 84 anni con un buco nello stomaco, sfruttato dal medico suo “padrone” per esasperanti, persecutorie indagini sulla meccanica della digestione; Frédéric Chopin costretto da un’ordinanza antitubercolare a cercare riparo nell’umida e piovosa certosa abbandonata, a Majorca; e così via…) lardellati fra un “organo vitale” e l’altro forse per marcare meglio la differenza rispetto a un togato tomo universitario di storia della medicina; né mancano, in tal senso, addirittura citazioni di opere letterarie: i capitoli di Tacito sul matricidio perpetrato da Nerone (Ventrem feri!, «Colpisci il ventre!», grida Agrippina, scoprendosi il sesso), o L’inganno di Thomas Mann, di cui l’autore, evidentemente ignaro della, ormai acclarata, duplicità sessuale di quel grande, si sofferma ad ammirare, ingenuo e stupito, come quello manniano sia «uno dei pochi lavori di narrativa prodotti da uno scrittore uomo ma svolti al tempo stesso da un punto di vista convincentemente femminile».

Ma è magari proprio il richiamo a Mann, con la compresenza nelle sue opere, accanto al pulsare ampio e fluviale della più borghese sanità, del tema, decadentistico se altri mai, del Verfall, quando non del Tod bell’e buono – che lo incarnino bruni efebi polacchi, a Venezia, o focose portatrici di treponema palidum nel Doctor Faustus – , è proprio questo tema, a portarci al cuore del libro: giacché, appunto, presentandoci con dovizia di sfumature coloristiche, tattili, e perfino foniche (i “rantoli” variamente mescolati di muco e altri residui della corruzione, che si avvertono nel corpo devastato dei tubercolotici), i diversi apparati annidati nel fondo del nostro oscuro organismo, González-Crussí perviene ogni volta alla considerazione della compresenza in ciascuno di essi, necessaria, e quasi provvidenzialisticamente predisposta, di morte e vita, di generazione e decomposizione, che si tratti delle feci che stazionano nel nostro intestino (l’autore non lo nota: ma non può certo sfuggire il nesso, perfino glottologico, esistente nei due termini che indicano la morte e il prodotto finale della digestione, nella nostra come in molte delle lingue diffuse sul pianeta) o del sangue mestruale che provvede a liberare il corpo femminile di ogni possibile pascolo per batteri, una volta inutilizzati i materiali nutritivi approntati per la riproduzione. La morte insomma è «coesistente e contemporanea alla vita, e indispensabile alla sua prosecuzione». Che poi questo basti a «intravvedere vita e morte alla luce della conoscenza biologica che la specie ha perseguito con tanta tenacia e raggiunto con così coscienzioso puntiglio», magari sarà un po’ più difficile: ma il libro, almeno, è stato piacevole da leggere.


(Frank González-Crussí, Organi vitali, trad. di Gabriele Castellari, Adelphi, 2014, pp. 339, euro 18)

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