Aspetta Primavera, Lucky!

di / 11 aprile 2011

Anche se uscito da qualche mese voglio segnalare un bel romanzo, Aspetta primavera, Lucky, del bravo Flavio Santi – un autore capace in poche pagine di tracciare una intelligente fotografia dell’attuale situazione culturale del nostro paese – perché è, a mio avviso, uno dei titoli più interessanti di questo primo trimestre dell’anno.

Il titolo, che rimanda al Bandini di fantesca memoria (ricordate la “saga” ragazzotto di Chiedi alla polvere?), è in realtà un richiamo a Luciano Bianciardi e al suo romanzo altamente autobiografico (“La vita agra”).

Fulvio Sant, alter ego neanche troppo velato di Flavio Santi, si mette in relazione con Lucky/Bianciardi, sovrapponendosi a lui fino a diventarne il doppio o, meglio, l’opposto.

Per vivere si fa quel che si può, ancor più se dobbiamo limitarci a sopravvivere.

Lo sa bene il protagonista che, con un curriculum vitae di alto profilo, è costretto a guadagnare con le traduzioni. Guadagnare si fa per dire perché troppo spesso si lavora senza essere pagati. Uno, nessuno e centomila: il dramma lavorativo e umano del singolo diventa quello di una generazione precaria nell’occupazione e persino nei sentimenti.

Santi però descrive la sua vita e la sua vita è legata al “fantastico” mondo dell’editoria: un mondo pieno di sommerso, di ragazzi sottopagati nel nome della “cultura”.

Una “cultura” che fa dell’Italia un paese di scrittori ma non di lettori. E qui Santi s’incazza, tira fuori un vigore e una voglia di scrivere che troppe poche volte leggiamo nei romanzi che compriamo.

Lavoro come elemosina di una vita che non offre quanto dovrebbe offrire: una casa troppo piccola, un senso di piattume intorno, una moglie e un’amante così diverse ma forse così vicine tra loro.

Ma se Bianciardi – chiamato a raccolta dallo scrittore quasi a diventarne nume tutelare – dipingeva l’Italia negli anni del boom economico, Santi, con la sua scrittura sincera, leggera e “viva”, si incunea nel percorso a ritroso, e mortifero, che abbiamo preso a partire dagli anni novanta (e forse anche da prima).

Il ritmo del romanzo procede spedito, con rabbia ma comunque ponderato, un j’accuse moderno e intelligente che se non affonda il colpo almeno colpisce in faccia.

Colpisce alcuni personaggi dello star system, colpisce tanti improvvisati “imprenditori della cultura”, colpisce i venditori di nulla che riempiono le fiere, le librerie e i luoghi d’incontro. Senza fare nomi ma con fisionomie che chi conosce l’ambiente saprebbe ridisegnare.

Non una speranza di miglioramento, purtroppo, ma la consapevole e spedita marcia verso il fallimento di chi è ancora capace di riconoscere la propria “intelligenza”.

Quello di Santi è, a conti fatti, un libro colto, ironico e soprattutto consapevole che qui, e intorno a noi, c’è qualcosa che non va. Anzi ci sono troppe cose che non vanno.

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