“Da qui all’eternità” di James Jones
di Michele Lupo / 15 dicembre 2012
Del titolo hanno avuto sentore in tanti, il film nell’Italia recente lo hanno visto sicuramente molte meno persone, il libro da cui è tratto qui da noi è quasi una novità. Quasi perché il romanzone Da qui all’eternità di James Jones(1921-1977) finora circolava in una versione Oscar Mondadori che, come quella americana, era scevra dei suoi contenuti più indigesti a quella gran parte di pubblico che il racconto del mondo può tollerarlo solo a patto che non si vada sino in fondo.
Pensare che la rappresentazione – editorialmente edulcorata – della vita militare americana ai tempi di Pearl Harbour valse allo scrittore il National Book Award nel 1952 (e successivamente ne tirarono fuori il film di Fred Zinnemann con Burt Lancaster e Montgomery Clift, che avrebbe fatto man bassa di Oscar). Be’, Jones per tutto questo dovette pagare un prezzo salatissimo.Il libro subì tagli poderosi: la censura intervenne pesantemente su molte scene, sui dialoghi e in generale sulla lingua del romanzo. Tutt’altro che edulcorate, scene e lingua: dapprincipio, si capisce. Ma a giudizio dell’editore, se nel formidabile esercito che di lì a poco avrebbe salvato il mondo dal delirio nazista non si faceva a meno né dei rapporti omosessuali né della masturbazione, era cosa che al puritanesimo americano (e al maccartismo d’epoca) poteva interessare sapere, ma non nei dettagli. Si dà il caso invece che la crudezza dell’ambientazione, il malessere quotidiano, e l’afrore diffuso di una sessualità dispiegata in varianti generose e brutali, costituiscano la trama tonale del romanzo – corna e bordelli compresi.
Il fatto è che in quelle basi militari il piacere stesso sembra incapace di sottrarsi a un certa violenza di fondo. «La gente non sa che cazzo succede in questa nazione», scriveva Jones.Il mondo visto da lì galleggia sotto un cielo cupissimo. L’epica che ne viene fuori è guasta, morbosa, dissonante. Le storie di questi uomini sono rudi ma nonfacilmente chiuse nel loro ruolo militare. A partire da Robert Prewitt, un trombettiere di talento ed ex pugile deciso a non salire più sul ring, Jones disegnacon una costruzione robusta personaggi che sembrano racchiudere il destino del mondo. Sentimenti e ambizioni dei quali, velleità e sconfitte, forza e debolezza sono ricondotti alla loro cifra essenziale: ecce homo e il suo destino. Amori sbagliati compresi.
La musica delle conversazioni fra soldati i più la conoscono da certa cinematografia: «“Se tu andassi dal comandante, come ti dico io, e dicessi anche una sola parola, resteresti. E vaffanculo al capo trombettiere Houston”. “Sì, certo. E il frocetto di Houston sarebbe sempre primo trombettiere. Inoltre, la pratica è già passata avanti. Firmata, sigillata e consegnata”. “’Fanculo” ripeté Red disgustato. “Le scartoffie firmate te le puoi attaccare sai bene dove, per quel che valgono”».
Di sicuro non è uno stilista James Jones. La sua prosa non irretisce, anzi si arrampica senza troppi scrupoli su un fraseggio comodo e disadorno e si avvale di similitudini a volte scontate. Una scrittura al servizio della storia, però.La forza di Jones sta nella sua convinzione: parliamo di un narratore poco “letterato”, che molto ha visto e sa raccontare(partecipò in prima persona a quelle vicende, così come alla battaglia navale di Guadalcanal – non a caso è anche l’autore de La sottile linea rossa). Ci sono scrittori così, di cose e non di frasi; magari puoi storcere la bocca ogni tanto ma devi ammettere che hanno ragione loro.
(James Jones, Da qui all’eternità, trad. di Chiara Ujka, Beat Edizioni, pp. 864, euro 13,90)
Comments