“In territorio nemico” di SIC (Scrittura Industriale Collettiva)
di Vanessa Palmiero / 30 maggio 2013
In territorio nemico è uno dei romanzi più attesi del catalogo minimum fax. Si tratta di un’opera nata con il metodo SIC (Scrittura Industriale Collettiva). Ideato da Gregorio Magini e Vanni Santoni, il progetto rispolvera l’idea di scrittura come lavoro artigianale, rivisitata in chiave industriale: una catena di montaggio in cui ognuno dei 115 autori è un anello senza il quale il romanzo non prenderebbe forma. La presenza di tante mani è bilanciata e ne deriva uno stile peculiare e omogeneo.
Ma sperimentale è anche la scelta dell’argomento, la storia della resistenza italiana, perché interpretato da chi ne è lontano almeno due generazioni. Nell’arco temporale che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, le vicende di tre personaggi si intrecciano con la storia collettiva. Matteo è un ufficiale della Regia marina che abbandona l’esercito e percorre l’Italia dal sud verso Milano dove vive la sorella Adele, sposa di Aldo.
I due coniugi appartengono all’alta borghesia, ma le vicende storiche irrompono nelle loro vite allontanandole. Aldo si rifugia in una casa isolata ed è ingurgitato da un vortice di terrore e ossessione; il contatto con sé stesso è così nevrotico da trasformarsi in patologia. Adele abbandona la posizione di signora ed entra nelle fabbriche come operaia per poi vivere il ruolo di una partigiana attiva (gappista). Matteo è la spina dorsale del libro perché rappresenta una linea temporale su cui si dipana la storia italiana.
Le vite dei protagonisti corrispondono a blocchi narrativi differenti che tendono a unirsi solo verso la fine del libro. Se per i due fratelli la partecipazione alla storia comporta una maturazione (e quindi nel romanzo storico prende vita un romanzo di formazione che ha come punto d’arrivo l’ideale dell’antifascismo), per l’ingegnere Aldo l’autoesclusione dalle vicende storiche conduce al baratro. La morale vien da sé.
Eppure il testo non cade nella retorica e scorre fluido e credibile, grazie alle ricerche storiche e memorialistiche che sottostanno alla genesi del romanzo e grazie a un’accurata ricerca linguistica sui dialetti.
Nell’intervista di Wu Ming, Magini e Santoni pongono un interrogativo che sta alla base del progetto: come trovare «i giusti vettori di avvicinamento» a un’esperienza storica lontana. Dato che quell’esperienza è sedimentata dentro di noi, nonostante la distanza anagrafica, vi è «una vicinanza emotiva e morale, mantenuta finora viva e forte dai racconti dei reduci».
La questione però non è risolta stilisticamente. A volte la descrizione dello scenario storico si trasforma in evocazione di atmosfere ed è proprio lì, in quella transizione, che la distanza temporale si fa insanabile: per ricordare ciò che non si è vissuto in prima persona è necessario inventarlo scegliendo tra le soluzioni più disperate. La scelta dei 115 autori è di appoggiarsi alle stampelle, ai cliché linguistici privi di potenza, ottenendo un risultato con soluzioni lessicali pigre e trite.
La prospettiva con cui approcciare il libro non è dunque quella (o solo quella) dell’originalità metodologica, né tanto meno dell’innovazione stilistica, ma piuttosto è da ricercare nel valore delle testimonianze. E come recupero memorialistico funziona.
(SIC, In territorio nemico, minimum fax, 2013, pp. 310, euro 15)
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