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“Esisto per un vuoto vicolo cieco”. Conversazione con Aurelio Vindigni Ricca

di Matteo Chiavarone / 14 aprile

Intervistiamo il giovane fotografo Aurelio Vindigni Ricca autore di un volume, “Ruvido”, in cui vengono sovrapposte immagini e versi, nella nobile ed esotica forma degli Haiku (genere nato in Giappone), frammenti “imprigionati” nella ferrea metrica di un’unica terzina di 17 sillabe totali (5 più 7 più 5).

Ebbene come è nata questa idea degli haiku? C’è un progetto dietro o è stata una scelta del momento?

Amo gli haiku davvero da molto tempo, sono già diversi anni che ne scrivo. Adoro le culture orientali e le loro filosofie, così ‘inciampare’ negli haiku è stato davvero naturale. Un autentico amore a prima lettura. Mi affascina molto l’idea di poter creare un mondo in sole 17 sillabe, è come avere un intero mare in una sola goccia d’acqua.

Che collegamento ci può essere tra la poesia e l’immagine (la fotografia)?

Gli haiku, come le fotografie, riescono ad avere allo stesso tempo una grande immediatezza e un sottotesto infinito. Si può raccontare, costruire una storia, in tre versi come in un singolo fotogramma, così la distanza fra i due mezzi si annulla completamente. Adoro questa forma di simbiosi ed è per questo che, in qualche modo, ho deciso di unirle, di incastrarle.

C’è molta malinconia nei tuoi versi ma ce n’è molta anche nelle tue fotografie. Qual è il mezzo che esprime meglio il tuo modo d’essere?

Il rapporto che ho con la tristezza è molto particolare. D’una intimità spaventosa, quasi un dialogo a due voci. Una presenza forte, in me, che necessariamente sfocia in ogni veicolo artistico. Dalle sceneggiature per il cinema agli haiku più profondi. Ogni mezzo esprime uno stato d’animo simile ma in modo diverso, quindi mi è difficile definire un mezzo ‘principe’. Ogni mezzo completa l’altro.

Ci sono autori contemporanei che hanno usato la forma haiku che hai apprezzato più di altri?

In genere in letteratura, come in fotografia, cerco di leggere e subito dimenticare (per non correre il rischio di restare affascinato e ‘intrappolato’). Eppure gli haiku di Jorge Luis Borges sono sicuramente un ricordo indelebile (autore di ‘Diciassette Haiku’, numero che io stesso riprendo in ‘Ruvido’).

Visto che ci siamo: il tuo poeta e il tuo fotografo di riferimento. Quelli che preferisci…

Riferendoci ad un piano ‘assoluto’ dico a gran voce Pier Paolo Pasolini. Proprio le sue letture mi hanno avvicinato e spinto al mondo della scrittura e non solo, poiché era anche un grande autore di cinema e teatro. Nella fotografia l’arte di Henri Cartier-Bresson.

Nella società di oggi c’è ancora spazio per la poesia?

Ce n’è molto poco e lo dico con cuore affranto. Una società sana dovrebbe insegnare e promuovere, invece è ormai prassi comune ignorare e dimenticare. Chi dice ‘poesia’ pensa a qualcosa di vecchio, di passato, senza capirne l’immortalità e la feroce attualità. Abbiamo le anime sempre più aride.

Perché la scelta di pubblicare un libro? Non ti è venuta in mente una mostra in cui coniugare poesia e immagine?

In realtà convivo con la scrittura da molto più tempo che con la fotografia. Pubblicare un libro è davvero da sempre un piccolo grande sogno che avevo necessità di realizzare. Diciamo che la fotografia si è insinuata silenziosamente poi, non era previsto questo strano ‘matrimonio’. L’idea di una mostra che coniughi le due cose però non è affatto male, chissà un giorno.

Grazie mille e in bocca al lupo per questo tuo “percorso”.