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Quasi come Bianciardi. Intervista a Flavio Santi

di Matteo Chiavarone / 28 aprile

Intervistiamo Flavio Santi autore di Aspetta Primavera, Lucky!, uno dei titoli più interessanti di questa prima parte dell’anno. Un omaggio a Bianciardi e alla scrittura, una critica al clientelismo culturale del nostro paese.

 Leggere la recensione: Aspetta Primavera, Lucky!

Ciao Flavio. Complimenti per il bel libro, davvero. Poche pagine ma capaci di tratteggiare un bel ritratto del nostro paese. “Bello” si fa per dire, naturalmente. Chi vuole lavorare nella cultura è davvero obbligato a “sopravvivere”?

Dipende. Come insegna un vecchio adagio del giornalismo, è la cattiva notizia a riscuotere attenzione, non la buona. Così è un po' per il mio romanzo: metto il dito sulle piaghe, che tutti conoscono, fra l'altro. Da anni in Italia c'è un'epidemia di cecità collettiva e individuale. Le risorse e le potenzialità sono tante ma le stiamo lentamente sprecando. Basti pensare alla fuga dei cervelli: le nostre migliori menti vanno a fare la fortuna degli altri paesi. E intanto a Pompei succede quello che succede…

Flavio Santi. Fulvio Sant. Che sia un alter ego lo possiamo immaginare. Ma quanto c’è veramente di tuo in questo personaggio?

Di me in Fulvio c'è: la pratica dell'aerosol (ne faccio almeno due, tre al giorno); la passione per Beautiful; l'aver rinunciato alla Scuola Normale Superiore di Pisa per i motivi contenuti nel libro; qualche sventura lavorativa… Ah, dimenticavo, il lavoro di traduttore. Bianciardi è un punto di riferimento per entrambi, forse più per me che per Fulvio. Spirito libero e anarchico, grande lezione di umiltà e serietà (memorabile la battuta: “per me successo è solamente un participio passato del verbo succedere”).

Dopo aver pubblicato con marchi editoriali come Marsilio o PeQuod come mai questa scelta di “approdare” in una piccola realtà come le Edizioni Socrates? Ti sei trovato bene?

Mi sono trovato molto bene e ne approfitto per ringraziare pubblicamente gli amici della Luminol, Alessandro Al De Santis, Giammarco Raponi e Filippo Nicosia. Quanto alla scelta, è stato il destino: sono molto fatalista: ero e sono sotto contratto Rizzoli, eppure nei giorni in cui stavo rimuginando tra me e me quello che sarebbe diventato il libro – era un periodaccio di forti tensioni – ricevo una loro email con il progetto della collana. Mi è subito piaciuto, perché risponde alla mia idea di “microeconomia editoriale” – la spiego un po' meglio qua: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-10-18/santi-flavio-185756.shtml.

Chiedi alla polvere è un libro che consiglieresti a giovani aspiranti scrittori? Quale testo di Bianciardi sarebbe utile riproporre?

John Fante è un buon scrittore, forse un po' sopravvalutato – in compenso ha dei titoli eccezionali. Nel panorama americano lo trovo meno incisivo di un Hemingway o un Fitzgerald, per restare ai classici. Outsider da riscoprire sono Fred Exley, A fan's notes (da noi per Alet), George Saunders, David Means. Invece Bianciardi sta riemergendo come uno degli scrittori fondamentali della seconda metà del Novecento: era ora.

Torniamo al libro. Alla fine di tutto restano davvero soltanto le parole, le poesie, di Simone (l’amico vero che non c’è più)?

Io – come tutti gli scrittori credo – ho uno strano rapporto con le parole. Da una parte le odio, ma dall'altra sono la mia salvezza. Conrad diceva che le parole sono il peggior nemico della realtà. Concordo. Ma sono anche la mia dannazione e il mio piacere. Non so disegnare, non so recitare, non so comporre musica, non so girare un film, ma so scrivere. Me ne devo pur fare una ragione, no? Ma credo che contino molto anche i gesti, nel bene come nel male. Do molta importanza all'esempio concreto (saranno le mie origini contadine, chissà): sinceramente mi sono stufato di tutti i falsi Savonarola che predicano cosa fare e cosa non fare, sempre con il dito ammonitore alzato; gente a parole di amplissime vedute, nei fatti ciniche, egoiste e sleali. Purtroppo ce n'è molte, soprattutto tra gli insospettabili, a sinistra: li chiamo fascisti di sinistra. Bisogna dare esempi concreti. Ognuno nel proprio piccolo. E pensare più in termini di “noi” che di “io”. Poi, per carità, se vuoi fare lo stronzo, liberissimo (nessuno è perfetto), ma dillo chiaramente, almeno!

C’è molta incazzatura tra le pagine del libro. Cos’è che ti manda più in collera? C’è qualcosa di buono da cui ripartire?

Il mondo culturale italiano ha delle risorse impressionanti, mi dispiace vedere quanto viene sottovalutato e sprecato. L'Italia potrebbe – e dovrebbe – vivere di arte, cultura e turismo. E invece… Questo mi fa arrabbiare molto. Più che altro è devastante il senso di  impotenza che provi. L'editoria italiana poi è la migliore al mondo secondo me, per cura, amore e attenzione verso il libro (basta fare una prova: prendi un tascabile che so francese o inglese e un Bur o un Oscar italiano e poi dimmi), però rischia grosso. Ho il timore che possa diventare come la politica: staccata dal Paese reale, dai veri lettori. Lentamente peggioriamo e non ce ne accorgiamo.

Dacci un motivo per leggere il tuo libro (io ne potrei dire più di uno)

Un motivo pratico (riecco le radici contadine): è breve, si legge in un pomeriggio!

Grazie mille e in bocca al lupo per la promozione del libro.