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Varia

In memoria di Carmelo Bene

di Francesca Melucci / 16 marzo

Da quali Golia fui concepito
così grande,
e così inutile?

(Vladimir Majakovskij – All’amato se stesso)

 

Genio e follia: questo spesso si dice di grandi artisti che hanno lasciato un’impronta non solo con la loro arte ma anche con la loro personalità complessa e dirompente, talmente solida da diventare arte essa stessa. Il binomio ben descrive Carmelo Bene che ricordiamo a dieci anni dalla sua scomparsa.

Genio. Carmelo Bene lo è stato a tutto tondo: teatrante futurista, nel senso destrutturante del termine, cineasta fuori dagli schemi, innovatore di linguaggi e tecniche, artificiere di testi classici, sabotatore del sistema teatro, sovversivo tout court senza cadere nel manierismo rivoluzionario.

Folle. Carmelo Bene lo è stato come i trickster, gli spiriti guastatori del costituito, o i fool shakespeariani che dipingono, con corpo e voce, un vero più vero del vero.

Eccentrico, al limite e al termine di ogni centro, Carmelo Bene lo è stato per la radicalità con cui ha costruito la sua persona dentro e fuori dal palco, tanto da sovrapporle in una coincidenza perfetta senza mai egoriferirsi: il rifiuto categorico delle istanze borghesi, il suo ateismo, la sua formazione teatrale antiaccademica, lo sprezzo per le convenzioni e per le “autorità” costituite in ogni loro declinazione.
Non stupisce, quindi, che il suo teatro sia rimasto unico, incollato al suo corpo e alla sua straordinaria voce diventata strumento sublime e amplificato, inesauribile campo di ricerca, palcoscenico del suo pensiero. Osceno e pornografico, disturbante, iperbolico, a volte misogino, estremo nella sua opera ha perseguito l’annullamento di ogni convenzione e aspettativa tipica dell’arte: non un genere ma un de-genere, non un pensare ma un de-pensare, non un registro – comico e tragico – ma una commistione di registri opposti che si annullano come l’antimateria annulla la materia, l’arte che tende al vuoto, al deflagrare di essere e non essere di majakovskiana memoria.

Scandaloso. Carmelo Bene lo è stato nel trovare cortocircuiti e inciampi negli intoccabili classici: l’Amleto che, nelle sue varie versioni, diventa di “meno”, una suite, una homelette e si riduce a una allitterazione; il Faust, l’Otello che si mischiano a De Sade; il sorriso di Pinocchio che diventa ghigno atavico. Frantumi e schegge di personaggi che vengono ri-montati e svuotati per diventare fantocci che nulla sarebbero senza l’attore artefice, demiurgo che dentro soffia vita e non-vita.

Il pubblico, al contrario della critica, lo ha sempre amato e seguito, con numeri da teatro nazionalpopolare anche se, spesso, bersaglio delle sue feroci invettive. E al pubblico oggi manca Carmelo Bene, la sua follia, il suo genio, la sua eccentricità, il suo scandalo in questo panorama teatrale appiattito e, in molti casi, sterile.

Al pubblico non rimane che attendere un altro parto di Golia.