Cinema
“Due giorni, una notte” di Jean-Pierre e Luc Dardenne
di Francesco Vannutelli / 11 novembre
Presentato in concorso ufficiale all’ultima edizione del Festival de Cannes, Due giorni, una notte segna il ritorno di Jean-Pierre e Luc Dardenne, cineasti belgi rigorosamente fissati su una precisa idea di cinema che ha portato in passato a due vittorie alla kermesse, nel 1999 con Rosetta e nel 2005 con L’Enfante.
Due giorni e una notte è il tempo che Sandra, sposata e madre di due figli, ha a disposizione per convincere i colleghi dello stabilimento di pannelli solari in cui lavora a rinunciare a un bonus personale di mille euro e farle riottenere il lavoro. Sandra si era dovuta prendere un periodo di aspettativa dopo essere precipitata in una depressione paralizzante. Si sentiva inutile, nonostante l’amore della famiglia e l’amicizia della collega Juliette. Lentamente, a colpi di Xanax, si è rimessa in piedi. Nel frattempo però l’impresa si è resa conto di non avere più fondi per reintegrarla. Gli altri dipendenti sono stati chiamati a una scelta: riaccogliere Sandra nell’organico o ottenere la gratifica. Con l’aiuto di Juliette, Sandra riesce a preparare una nuova votazione dopo che il primo scrutinio era stato influenzato dal capo reparto che aveva fatto capire che l’azienda avrebbe licenziato qualcun altro, se non fosse toccato a lei.
Della coscienza di classe, dell’identità collettiva, dello spirito di unione nella contrapposizione lavoratori contro padroni, nel 2014 della crisi mondiale, nell’era del lavoro flessibile e del precariato, non è rimasto niente. È un messaggio di una brutalità inevitabile quello dei fratelli Dardenne. Il capitalismo contemporaneo ha prodotto un nuovo tipo di scontro, che non è più la lotta di classe di marxiana memoria, ma è lotta di poveri contro poveri, di lavoratori contro lavoratori. Il capo dell’azienda rimette la decisione ai suoi dipendenti senza interessarsi delle conseguenze. Il padrone, la classe dominante, la borghesia capitalistica, chiamatela come vi pare, rimane al di fuori dello scontro, lascia che sia la classe oppressa a risolverlo, a vedersela con se stessa.
È una decisione pilatesca, l’unica possibile però in un momento storico in cui anche il ceto produttivo fatica a mantenersi, in cui la meta ideale dell’impresa non è più il profitto, ma il pareggio di bilancio, schiacciata, oppressa com’è dalla competizione internazionale e dalla manodopera a basso costo. Sandra si ritrova a dover girare porta porta per chiedere a persone che hanno poco di rinunciare a quel poco in più che potrebbero avere per farla tornare a lavorare. Si tratta di gente che nel fine settimana fa altri lavori, in casa o in nero in un supermercato, che aspetta quei mille euro in più per stare a posto con le bollette, per poter fare dei lavori per evitare che frani il giardino.
Nessuno ha votato contro di lei, tutti hanno votato per il bonus. Non è questione personale, è questione di sopravvivenza. Senza alcun tipo di elegia della povertà, di lirismo dell’empatia o della compassione, i fratelli Dardenne descrivono la realtà comune di milioni di persone che non possono più, in nessuno modo, riuscire a guardare oltre la difesa del proprio interesse e dei propri bisogni primari. Lo fanno attraverso la storia di Sandra e per mezzo di una Marion Cotillard perfetta nel non essere mai attrice, ancor prima che diva, nell’immergersi con il corpo e lo spirito in una donna distrutta prima dalla depressione, poi dall’umiliazione di andare a mendicare ciò che è suo di diritto obbligando gli altri a una scelta che lei per prima riconosce come impossibile. Più che parabola di una rinascita, Due giorni, una notte diventa un vero e proprio romanzo di formazione, con Sandra che ricostruisce la propria vita, si mostra prima vulnerabile, arrendevole, pronta ad aggrapparsi al conforto delle medicine e al rifugio sicuro del letto, diventando insopportabile e indifendibile nel suo egoismo di malata che non le fa riconoscere alcun merito al marito, sempre pronto a sostenerla, e a tutti coloro pronti a rinunciare al premio per ciò che è giusto sul piano umano, più che su quello privato, per poi ricostruirsi come persona capace di affrontare le ingiustizie e di rivendicare il valore più importante, quello che la condizione del lavoro a tutti i costi finisce per far dimenticare: la dignità umana.
(Due giorni, una notte, di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2014, drammatico, 95’)