Libri
“Gli eroi imperfetti”
di Stefano Sgambati
di Luigi Ippoliti / 23 ottobre
Dopo un paio di pubblicazioni, tra cui Fenomenologia di Youporn, arriva il vero e proprio romanzo d’esordio per Stefano Sgambati: Gli eroi imperfetti (minimum fax, 2014), ambientato a Roma, in una Ponte Milvio indolente, dove si intrecciano le vite di cinque persone.
Fabula e intreccio, sviluppate con coscienza, in un’architettura stabile e senza fragilità, producono un ritmo narrativo che si avvale della potenza intrinseca dell’artificio del noir, ma in cui la centralità concettuale non risiede nella soluzione del mistero (l’equilibrio narrativo viene spezzato dal racconto di un presunto omicidio avvenuto quindici anni prima, a cui, nel corso della storia, si lega un ulteriore presunto stupro) – che comunque è trascinante per tutto l’arco della narrazione –, ma alloggia nel modo in cui i vari personaggi reagiscono alla storia stessa, un aspetto che nobilita il romanzo senza bisogno di categorizzarlo.
Una coppia (lui vinaio, lei dipinge per passione) invita a cena Gaspare, un distino uomo sulla sessantina che lavora in un negozio di cornici vicino l’enoteca che gestiscono i due. Decidono di fare il classico gioco delle verità, in cui ognuno deve raccontare un aneddoto della propria vita, e Gaspare racconta un fatto talmente atroce che l’esistenza della coppia non sarà più la stessa.
A loro si aggiungono le vicende di Irene, figlia di Gaspare, ragazza che ama bere e va dalla psicologa, che ha una relazione non stabile con Matteo, libraio che lavora nella libreria vicino all’enoteca e al negozio di cornici, perdutamente innamorato di lei, in un crescendo narrativo che trova il suo climax e successivamente sbocco nel simbolismo di una piena del Tevere dove, attorno ai cinque protagonisti degli Eroi imperfetti, gruppi di persone se ne stanno a fare foto e a documentare ciò che sta accadendo, per poter pensare, e dire, “io c’ero”, – sempre interessante il modo in cui l’autore riesce a delineare il tipo di conformismo che attanaglia gli esseri umani, soprattutto in quest’era dove l’ingerenza della tecnologia è onnipresente.
Sgambati si focalizza per lunghi tratti sulla relazione tra Irene e Matteo, e su come il rapporto di Irene con Gaspare sembra il perno su cui si muovono le loro incomprensioni. Matteo pensa che Irene viva una sorta di ossessione per il padre (aspetto che lei smentisce categoricamente ogni volta), e che questa ossessione la porti a non avere stabilità nei rapporti affettivi, con lui in particolare. Per Irene, Matteo è uno come un altro: per lei tutti gli uomini sono uguali, non ci sono differenze. E lo ripete insistentemente anche alla psicologa. Matteo non si dà per vinto. Lotta, urla, sbraita, si dispera. Ma niente, Irene non sposta di un centimetro le sue convinzioni.
Una specie di Don Chisciotte che invece dei mulini a vento prova a combattere le turbe, la psiche, i non risolti di una ragazza intrappolata in un passato troppo scomodo.
I personaggi si muovono in una Roma concreta, in una Roma iper dimensionata dagli articoli dei quotidiani – con fonti di giornali, Repubblica ad esempio, e luoghi materiali dove cresce l’altro elemento noir, lo stupro in cui pare essere coinvolto il vinaio – che si troverà seduto sul divano con la moglie, che non saprà a chi credere, se al marito o alla tv, a guardare servizi all’interno del proprio negozio, il luogo dove lavora il presunto mostro –, che viaggia parallelamente al presunto omicidio della moglie di Gaspare, dando nerbo a tutto ciò che accade, a cui si aggiunge la psicosi moderna dell’essere presenti, sempre e comunque, estremo diametralmente opposto all’indifferenza (la solidarietà umana non sta in nessuno dei due estremi), nel guardare, nel giudicare, nel decidere-chi-è-stato-a-fare cosa, un’azione che sembra perpetuata nel tempo come catarsi, come pentimento, come sollievo: il che rende il tutto contestualizzato e profondamente vero.
E vi è anche il tema della deformazione della realtà attraverso i media, come i giornali, i telegiornali, i programmi di approfondimento basati sul luogo comune e sul conformismo – luoghi che hanno come santona nei pomeriggi di Mediaset Barbara d’Urso – riescano ad appassionare, a creare dibattiti, seppur sterili, creando capri espiatori, al di fuori dei diritti dell’uomo e della sua dignità, estranei per scelta etica ed estetica dal garantismo. Come la realtà diventi finzione, e viceversa. E il presunto omicidio della moglie di Gaspare è una potenziale storia che non è uscita allo scoperto. Ed è proprio Gli eroi imperfetti ad uscire prepotentemente, con forza, piegandosi sulla realtà e definendola relativa e ambigua.
Dal caso di Alfredino Rampi – parlando esclusivamente di questo fenomeno in Italia –, passando per Alberto Stasi, Raffaele Sollecito, per arrivare oggi a Massimo Giuseppe Bossetti, sembra crescere a dismisura il bisogno di estirpazione delle erbacce della società, in un vortice malato che disumanizza, che porta a un nuovo bisogno di esecuzioni in piazza. E Gaspare, in questo contesto, cos’è?
Un romanzo intelligente e rassicurante; la stessa sicurezza che giorno dopo giorno ricercano gli eroi imperfetti, che a volte, come spettatori di un fiume in piena, non riescono a far altro che guardare la vita che straborda.
(Stefano Sgambati, Gli eroi imperfetti, minimum fax, 2014, pp. 279, 15 euro)