Cinema
“Unbroken” di Angelina Jolie
Angelina Jolie torna alla regia cercando di fare grande cinema. E fallisce.
di Francesco Vannutelli / 30 gennaio
Louis Zamperini, in vita sua, è stato tante cose. Un ragazzino indisciplinato, un immigrato italiano negli Stati Uniti degli anni Venti, una giovane promessa dell’atletica, un atleta olimpico alle Olimpiadi del 1936 – quelle di Jesse Owen in faccia a Hitler –, poi un addetto all’artiglieria sui caccia bombardieri durante la seconda guerra mondiale, sul fronte del Pacifico in cui gli Stati Uniti si contendevano piccole isole col Giappone. È stato un naufrago, in seguito, quando il suo aereo è precipitato e si è trovato a dover sopravvivere in mare con due compagni di disgrazia e due gommoni di emergenza per quarantacinque giorni. È stato un prigioniero di guerra, dopo quei quarantacinque giorni, quando una nave militare giapponese lo ha recuperato per consegnarlo ai campi di prigionia. È stato un reduce, alla fine, quando la guerra è finita e Louis è potuto tornare a casa, dopo ormai tre anni che tutti lo davano per perduto. È stato un sopravvissuto, per tutto il tempo, un Unbroken, un non spezzato, incrollabile nella sua convinzione alla vita.
Angelina Jolie continua il suo percorso come regista impegnata puntando sempre più in alto. Dopo l’esordio del 2011 con Nella terra del sangue e del miele, che raccontava la storia d’amore tra una bosniaca musulmana e un soldato serbo in un campo di concentramento durante il conflitto jugoslavo, la ex Lara Croft ha deciso di guardare in patria prendendo la biografia di quello che è un autentico eroe americano per esaltarne, ulteriormente, l’eroismo.
Tutto quello che viene raccontato, Louis Zamperini lo ha vissuto davvero. Laura Hollenbrand, scrittrice specializzata in storie di titanismo bellico, aveva già raccolto tutto in un libro, Storia di un uomo, che nel sottotitolo originale riportava: «una storia di sopravvivenza, determinazione e redenzione». È dal libro che Jolie ha deciso di partire, lasciando la sceneggiatura a professionisti consolidati come i fratelli Cohen, Richard LaGravenese e William Nicholson. Ed è la determinazione il punto su cui si concentra Unbroken.
Alternando nella prima parte i momenti bellici che precedono l’ammaraggio e la prigionia con le origini di Louis nello stato di New York, Angelina Jolie mostra la crescita di un giovane ribelle e la sua trasformazione in uomo dalla volontà incrollabile. È il fratello Pete il primo a credere in lui, il primo a fargli capire che può fare qualcosa della sua vita. «Non sono niente, io non sono come te, lasciami essere niente!», gli dice Louis, ma Pete non lo accetta e gli fa conoscere la corsa, lo allena, e gli fa capire l’importanza del sacrificio e dell’impegno. «Un momento di gloria vale una vita di dolore», è quello che gli dice Pete prima che Louis parta per le Olimpiadi, dove arriverà ottavo nei cinquemila metri, ma primo a sorpresa tra gli statunitensi. Il retroterra formativo è necessario, secondo Angelina Jolie, per comprendere l’origine della tenacia di Zamperini, per creare le fondamenta di quella resistenza che gli permette sopravvivere.
Tutta questa retorica dell’impegno e del sacrificio forma Louis e lo accompagna anche nei momenti peggiori. È l’unico a non perdersi mai d’animo sui canotti alla deriva, a tenere testa con orgogliosa tenacia ai giapponesi durante la prigionia. Quindi Louis non piega mai il capo, affronta il truce capocampo Watanabe sopportandone le botte e continuando a sognare la fuga, rifiuta le scorciatoie e gli agi del tradimento, rimane sempre un soldato dell’esercito degli Stati Uniti. Ed è questa retorica trita, la grande debolezza di Unbroken. L’esaltazione dell’incrollabilità di Zamperini espone il film di Jolie a una serie di approssimazioni e di simbolismi elementari. Permeato da uno spiritualismo costante – e la regista ha raccontato di essersi riavvicinata alla fede durante le riprese –, Unbroken sembra elevare Zamperini a una specie di Cristo laico che tutto sopporta e tutto accetta (c’è la scena della trave, e soprattutto l’ombra, nella parte finale che toglie ogni dubbio su questa simbologia).
Contro questo eroe puro, stoico e muto nella sofferenza, si oppone un male assoluto incarnato da Watanabe e dai giapponesi. Angelina Jolie, che aveva trovato un grande stimolo alla carriera da regista nell’incontro con Clint Eastwood in Changeling, ignora completamente la duplice lezione del maestro in Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, che mostravano la stessa battaglia, quella di Iwo Jima, dai due fronti opposti, e mostra i carcerieri nipponici privi di qualsiasi umanità, crudeli oltre ogni immaginazione. In questa contrapposizione, Zamperini assurge a ulteriore gloria: solo nella sua resistenza, incassa e va avanti. Singolo uomo, simbolo di un intero paese e di una corpo militare eroico.
Certo che se American Sniper di Eastwood è stato accusato di facile patriottismo, per l’esaltazione di Jolie non si può che fare un discorso simile, se non ancor più radicale. Perché comunque Eastwood continua a mostrare un’umanità possibile anche tra i miliziani iracheni che il suo cecchino combatte, e allo stesso tempo non nasconde la fragilità di Chris Kyle e la sua ossessione per la guerra, ancora più che per la patria. In Unbroken, invece, Angelina Jolie contrappone un esercito statunitense di puri e onesti a un corpo militare giapponese spietato e ottuso, senza onore né dignità.
Supportato da un apparato tecnico di prima fascia (tre candidature agli Oscar, per la fotografia del coheniano Roger Deakins, per il sonoro e il montaggio sonoro) e impreziosito, comunque, dal lavoro fisico degli attori, sia il protagonista Jack O’Connor che i compagni di naufragio Domhnall Gleeson e Finn Wittrock, che si sono sottoposti a dimagrimenti da far invidia a Christian Bale, Unbroken parte da una storia vera che in sé avrebbe tutta la potenza per essere memorabile, ma la vanifica nella più abusata retorica, nonostante i grandi nomi in sceneggiatura, e non riesce a essere altro che la pretesa mancata di un’attrice di spacciarsi per una grande regista.
(Unbroken, di Angelina Jolie, 2014, bellico, 137’)
LA CRITICA - VOTO 4/10
Angelina Jolie prova a fare un film di sacrificio e simboli, di determinazione e sopravvivenza. Viene fuori una galleria ripetitiva di sofferenze e torture raccontate con tutta la retorica di un eroismo che scivola, inutilmente, nel messianico. Considerando che è sceneggiato dai Cohen ci si aspettava molto di più, almeno da loro.