Cinema
“La corte” di Christian Vincent
Le nuove opportunità di un secondo incontro
di Francesco Vannutelli / 22 marzo
Presentato con enorme successo all’ultima Mostra del cinema di Venezia, dove si è aggiudicato i premi per la migliore sceneggiatura e la migliore interpretazione maschile, La corte riunisce venticinque anni dopo La timida la coppia Christian Vincent (alla regia e sceneggiatura) e Fabrice Luchini (protagonista assoluto) per una raffinata commedia di ambientazione giudiziaria.
Michel Racine è il rigidissimo presidente della Corte d’assise del tribunale di Saint-Omer. Mentre è alle prese con un divorzio e una brutta influenza, è chiamato a deliberare su un caso particolarmente complesso. Un uomo di ventisette anni è accusato di aver ucciso a calci la figlia di appena sette mesi in un raptus di violenza. Il ragazzo avrebbe confessato l’omicidio durante l’interrogatorio della polizia, ma qualcosa non torna. Per giudicare il caso, il Presidente viene affiancato da una giuria popolare estratta a sorte. Il caso vuole che tra i giurati venga sorteggiata Ditte Lorensen-Coteret, una signora di origine danese che sei anni prima aveva assistito Racine come anestesista dopo che era rimasto coinvolto in un terribile incidente. Il presidente aveva perso la testa per lei e ritrovarsela davanti gli fa capire che il sentimento non è mai passato.
Il titolo originale di La corte è L’hermine, l’ermellino, dal collo di pelliccia della toga di Racine. È il suo scudo dal mondo (oltre a essere un titolo molto più pertinente del riferimento al collegio scelto dai distributori italiani), il simbolo di potere dietro cui il presidente si nasconde per non essere raggiunto da nessuno. È tutto concentrato sulla personalità di Michel Racine il film di Christian Vincent, sul suo dispotismo fragile, sulla sua inavvicinabilità apparente. Nessuno conosce davvero il giudice, su di lui si dicono tante cose, nessuno sa quali siano vere, si sa solo che incute timore e rispetto.
Eppure, dietro la maschera inflessibile si nasconde un uomo insicuro, pronto a nascondersi per non rivelare la sua fragilità, che sia dietro il mantello del tribunale, o dietro una sciarpa che serve a distogliere l’attenzione dai suoi vestiti scelti a caso dall’armadio. Forse solo Ditte lo conosce veramente, per averlo visto ferito sul letto d’ospedale. È per questo che Racine non riesce a dimenticarla.
Fabrice Luchini è la forza più grande di La corte. Imperturbabile, compassato, pronto ad aprirsi in un’ironia fatta di una trama sottile, il suo Michel Racine è la somma delle sue tante interpretazioni di personaggi ben diversi, nell’intimo, dalla maschera esteriore (in tempi più recenti, si pensi a Gemma Bovery dello scorso anno).
Nel preparare il ritratto di un uomo stanco di essere solo, Christian Vincent si diverte a giocare con i generi. A tratti, La corte assume i caratteri del thriller giudiziario, con i giurati che si incontrano e si scambiano le loro opinioni sul caso. Ci sono elementi del cinema sociale, con le differenze che separano i membri della giuria uno dall’altro, distanze religiose, di classe o di età. Molto presto, però, il film di Vincent rivela la sua vera natura di commedia romantica con al centro un secondo incontro tra due persone che si sono incrociate, in maniera indelebile, una sola volta nella vita.
È proprio, però, questa intermittenza di generi a dare un senso di incompiuto a tutto La corte. Niente è davvero importante di quello che viene raccontato, a parte Racine, eppure lo spettatore viene investito di suggestioni che troppo spesso non portano a nessuno sviluppo concreto. Avrebbero potuto portare a sviluppi più interessanti, invece finiscono per distogliere l’attenzione dalla crescita del presidente.
(La corte, di Christian Vincent, 2015, commedia, 98’)
LA CRITICA - VOTO 6,5/10
Fabrice Luchini è la grande forza di La corte, commedia romantica di ambientazione giudiziaria che accumula suggestioni senza riuscire davvero a seguirle tutte.