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“L’arte della guerra zombi” di Aleksandar Hemon
di Danilo Zagaria / 1 agosto
Aleksandar Hemon è un cantore dello smarrimento. I suoi personaggi principali sono esuli, immigrati, uomini soli in terra straniera – veri e propri spaesati ,“nowhere men” – alla costante ricerca di un sentiero chiaro e percorribile. Ma la vita, per l’autore nato a Sarajevo, è un labirinto narrativo in cui gli uomini si perdono, vittime di circostanze più forti di loro.
Per la prima volta nella sua carriera, Hemon dà alla luce un dedalo differente dai precedenti, nonostante lo sfondo resti la sua Chicago e le anime che lo popolano siano, ancora una volta, emigrati bosniaci alle prese con la cruda realtà dell’American Dream. Joshua Levin, protagonista accidioso di L’arte della guerra zombi (Einaudi 2016), non è un esule geografico-linguistico (sebbene sia di origini ebraiche), bensì un aspirante sceneggiatore che sopravvive alla sua stessa vita con stordita inerzia, tentando di godere delle gioie (soprattutto carnali) e di proteggersi dalle percosse che gli piovono addosso da ogni lato. Joshua vorrebbe che a liberarlo dall’impasse di cui è preda fosse l’arte, la sua, ma i brevi quanto improbabili soggetti cinematografici che egli abbozza rubando frammenti di realtà al mondo non sono in grado di condurlo a Hollywood. Come fare, dunque, per trovare l’incidente scatenante e raggiungere il climax di un’esistenza bloccata e scevra di possibilità?
«Scrivere non è altro che portare il tremendo, massacrante fardello di decisioni prive di conseguenze», recita l’incipit del romanzo. Joshua scoprirà col passare delle pagine, suo malgrado, che nella vita le cose vanno diversamente, nonostante finzione e realtà possano in alcuni casi somigliarsi parecchio o, addirittura, scambiarsi caratteristiche e fondamenti. Quando il protagonista decide di seguire finalmente una pista creativa – il copione di un kolossal in cui il tenace Maggiore Klopstock tenta di sopravvivere all’ormai arcinota apocalisse zombie – la sua esistenza inizierà una parabola discendente a spirale satura di situazioni paradossali, sferzate impietose del destino, violenza cinematografica e vicende degne del miglior film d’avventura metropolitana. E così, mentre le scene di Guerre Zombi si alternano alle peripezie scatenate da fidanzate indiavolate, reduci bosniaci fuori controllo e bizzarri individui armati di katana, Joshua Levin vedrà scorrere sugli schermi televisivi le immagini della guerra in Iraq – siamo nel 2003 –, distanti anni luce eppure così simili ai disastri che egli crea sulla carta e a quelli con cui deve, volente o nolente, fare i conti sul palcoscenico del mondo reale.
Appare dunque chiaro come un altro grande tema caro a Hemon, la guerra, costituisca il substrato anche di questa nuova opera. In filigrana, essa è presente nei ricordi dei reduci, nei telegiornali, nel copione di Levin, nel passato dei bosniaci e, ovviamente, nella vita del protagonista, il quale è costretto a sperimentare sulla propria pelle una vera e propria escalation, un crescendo di tensione che trasforma la sua esistenza in un campo di battaglia, con tanto di duelli, feriti e caduti. Il finale a cui si giunge, infatti, non può che essere un vero e proprio ribaltamento: se nella vita reale il conflitto è arrivato a essere l’unica realtà esistente (nella vita di Levin come nella realtà geopolitica internazionale), nella finzione si assiste al trionfo della pace e dell’happy ending hollywoodiano, quest’ultimo capace ormai di infettare anche pellicole apocalittiche a tema zombie, con buona pace di George Romero e Richard Matheson.
L’arte della guerra zombi corre a cento all’ora, forte di una prosa funambolica e fumettistica, capace di generare momenti a dir poco esilaranti pur restando affascinante per profondità e ricchezza di stile. Leggendo Hemon è davvero impossibile rimanere indifferenti, specialmente girando le pagine di un lavoro come questo, in cui gli episodi tragicomici costituiscono il perno su cui ruota ogni singolo capitolo. Lo scrittore di Sarajevo è riuscito, ancora una volta, a spostare l’asticella di una tacca, confezionando un’opera di alta caratura letteraria grazie alla quale ogni lettore può trovare soddisfazione: chi vuole ridere, chi vuole assaporare la bella scrittura, chi – amante di Max Brooks, di Resident Evil o di The Walking Dead – necessita degli zombie per vivere, chi è appassionato della diatriba realtà-fiction, e chi, come il sottoscritto, ama alla follia questo autore venuto dai Balcani che vive a Chicago, che scrive in inglese (sua seconda lingua) e che ha una predilezione per coloro che hanno perso la strada ma che, nonostante tutto, un modo per sbarcare il lunario e andare avanti, verso risposte più o meno chiare, lo trovano sempre.
(Aleksandar Hemon, L’arte della guerra zombi, trad. di Maurizia Balmelli, Einaudi, 2016, pp. 280, euro 19,50)
LA CRITICA - VOTO 8/10
Forte di una prosa funambolica e fumettistica messa al servizio di una trama coinvolgente e mai banale, L’arte della guerra zombi conferma a pieni voti Aleksadar Hemon nel pantheon degli autori oggi più influenti nel trattare temi quali lo spaesamento dell’uomo moderno nella terra promessa chiamata America, il conflitto (militare e civile) che devasta le nostre società e la ricerca senza posa delle radici identitarie dell’homo sapiens occidentalis.