Cinema
“Demolition” di Jean-Marc Vallée
Reagire al dolore con la distruzione
di Francesco Vannutelli / 20 settembre
Non è stato accolto bene Demolition allo scorso Toronto Film Festival, e non poteva essere altrimenti. Il nuovo film di Jean-Marc Vallée conferma, dopo Wild, l’incapacità del regista canadese di confermarsi ai livelli di Dallas Buyers Club, il film della definitiva consacrazione internazionale dopo gli interessanti primi film.
C’è un problema generale di ricerca eccessiva dell’empatia con personaggi con cui è difficile entrare in sintonia. Se in Dallas Buyers Club si veniva facilmente distratti dalla magrezza di Matthew McCounaghey, già in Wild ci si chiedeva perché si dovesse fare il tifo per una persona che aveva deliberatamente deciso di buttare la sua vita per poi riprendersi. In Demolition, la reazione fredda e introspettiva del protagonista Davis Mitchell tiene lontani, non coinvolge.
Davis lavora nella banca di investimenti del suocero, è sposato con apparente serenità quando un incidente stradale gli porta via la moglie. Nei giorni immediatamente successivi Davis non ha alcuna reazione se non arrabbiarsi con una macchinetta dell’ospedale che non gli dà le M&M’s. Durante la veglia funebre decide di scrivere una lettere di reclamo ai produttori del distributore, poi un’altra, e un’altra. Una notte riceve una telefonata da Karen, l’addetta al servizio clienti della compagnia. Tra i due nasce uno strano rapporto a distanza che poi li porta sempre più vicini, coinvolgendo anche Chris, il figlio adolescente di lei.
Non si può negare che lo spunto iniziale delle lettere di protesta sia interessante, originale nella sua dimensione completamente surreale. Al dolore si reagisce in vari modi. Davis manda lettere e smonta le cose per cercarne il meccanismo interno. Incapace di provare qualcosa di vero, si attacca a reazioni prive di logica per sentirsi meglio.
Come detto in apertura, il limite più grande di Demolition rimane l’impossibilità di empatizzare con Davis. Non è solo la freddezza della reazione il problema. Di uomini rimasti vedovi che non sanno come confrontarsi con quello che resta se ne sono visti tanti al cinema di recente, da La foresta dei sogni dello scorso anno a A Single Man di Tom Ford. Qui, però, l’apatia si accompagna a un percorso di recupero che appare a dir poco privo di senso, sorretto da personaggi di contorno poco credibili e molto poco strutturati.
A distinguersi, forse, è solo il Chris del giovane Judah Lewis, con la sua confusione e la sua rabbia adolescenziale, ma è più per il livello dell’interpretazione che per qualche merito specifico del personaggio.
Discorso a parte merita Jake Gyllenhaal. Arrivato alla soglia dei trentasei anni, l’ex Donnie Darko è ancora alla ricerca del film che lo consacri definitivamente come l’attore di talento che è. Dopo I segreti di Brokeback Mountain e la relativa nomination agli Oscar come migliore attore non protagonista (era il 2006, vinse George Clooney per Syriana), l’Academy sembra essersi completamente dimenticata di lui. Nonostante i film con David Fincher, il sodalizio con Denis Villeneuve, il dimagrimento nervoso per Nightcrawler e la massa di muscoli tirata su per Southpaw lo scorso anno, non sono arrivate altre nomination. Ora prova ad affidarsi a Vallée, regista che negli ultimi anni si è specializzato nel far fare bella figura ai suoi attori, con i due Oscar per Matthew McConaughey e Jared Leto per Dallas Buyers Club e la nomination per Reese Witherspoon per Wild. È impossibile, in tutta onestà, che il suo Davis catatonico venga nominato per qualsiasi premio. Gli andrà meglio, ci auguriamo per lui, con Nocturnal Animals di Tom Ford.
(Demolition – Amare e vivere, di Jean-Marc Vallée, 2015, drammatico, 100’)
LA CRITICA - VOTO 5/10
Variazione sul tema “uomo solo davanti al dolore”, Demolition non riesce a sfruttare un’interessante spunto iniziale e l’innegabile carico emotivo che i film sulla perdita si portano dietro. Rimane un film freddo con una nota surreale che non si capisce cosa voglia aggiungere.