Libri
“MESCOLO TUTTO”: DECOSTRUIRE IL DISAGIO GIOVANILE
Intervista all’autrice Yasmin Incretolli
di Federico Iarlori / 14 ottobre
Yasmin Incretolli ha firmato uno degli esordi letterari più discussi di quest’anno. Il suo romanzo si intitola Mescolo tutto (Tunué, 2016) ed è stato scoperto dallo scrittore e talent scout Vanni Santoni grazie alla menzione speciale che il testo di questa giovane autrice romana ha ottenuto al XXVIII Premio Italo Calvino.
È la storia di Maria, un’autolesionista diciannovenne che vive con la madre alcolizzata e della sua pericolosa relazione con Chus, un teppistello di vent’anni che viene dall’Argentina e che, dopo aver messo fine al loro rapporto, spinge la ragazza a scappare di casa. Catapultata in un turbinio di vizi, perversioni e violenza, a Maria non resta che liberare la sua propensione all’estremo.
Dopo l’acclamato esordio di Luciano Funetta con Dalle rovine, la fresca e dinamica casa editrice Tunué ha regalato ai lettori italiani un vero e proprio oggetto non identificato, capace di spiazzare la critica non solo per i contenuti estremi e pornografici, ma soprattutto per una lingua singolare che sembrerebbe cesellata da una Isabella Santacroce con i piedi ben piantati a terra. Nonostante sia un’artista che ci mette la faccia – è apertamente una militante femminista, Lgbt e antispecista – la Incretolli non ama molto parlare di sé: «Credo che l’unico dato biografico rilevante di un’autrice sia la sua bibliografia – mi confida –, perché, come sosteneva anche Calvino, se lo scrittore (e la sua storia) occupa il campo, il mondo rappresentato viene svuotato». Cosa ne penserebbero i segugi che ultimamente non danno tregua a Elena Ferrante? A me basta sapere che ha 22 anni, che vive a Roma e che è iscritta alla Sapienza. Niente di più. E ora, parliamo del libro.
Il titolo originale di Mescolo tutto era Ultrantropo(rno)morfismo. Perché avevi scelto un titolo del genere? Perché ti hanno chiesto di cambiarlo?
Sì, così fu presentato al Premio Italo Calvino. Scelsi un titolo composto perché pensavo rispecchiasse l’anima disorientante del romanzo. Il mio editor, Vanni Santoni, mi avvertì fin da subito che dovevamo trovargli un nome diverso, meno concettuale. Fra le molte proposte prevalse Mescolo tutto, titolo – tra l’altro – di un’azione della parigina Gina Pane, body performer che mi piace moltissimo.
Maria, la protagonista del romanzo, è un’autolesionista. Cosa ti ha spinto a scegliere un personaggio con questa patologia?
Maria rappresenta il disagio giovanile che è il perno intorno a cui ruota la narrazione. E l’autolesionismo è la manifestazione più frequente di questo disagio, insieme al craving e alla commissione di piccoli reati. Inoltre, si ricollega a una più generale riflessione sul linguaggio, tema importante all’interno di Mescolo tutto. La voce di Maria, soffocata dall’insensibilità propria dell’ambiente in cui abita, riemerge nel sangue, diventando un paralinguaggio.
Cosa c’è di vissuto nei personaggi (estremi) del tuo romanzo e negli ambienti in cui si muovono? Consideri Mescolo tutto un “romanzo generazionale”?
Ci sono dei riferimenti alla mia esperienza, ma tutto è rielaborato in una funzione narrativa. Volevo raccontare una storia, e il materiale che avevo a disposizione è stato modellato per questo scopo. Al centro del romanzo c’è la ricerca della propria identità tipica di tutte le adolescenze. Ma questa ricerca ha connotati di forte contemporaneità: isolamento dalla vita sociale, disgregazione familiare, teen dating violence. In questa misura sì, possiamo definirlo “generazionale”.
Che rapporto hai con la pornografia?
So che la pornografia è tutto ciò che viene rappresentato per indurre eccitazione sessuale. Ma è luogo comune rapportare questa parola, nella nostra contemporaneità, all’industria del porno audiovisivo mainstream. E verso tale sorgente provo risentimento, perché immagino lo sfruttamento che dà sostegno al suo mercato. Mi trovo molto vicina perciò al pensiero di Catharine MacKinnon: lei definisce il porno nient’altro che un’altra diversa forma di violenza sulla donna. Secondo me la pornografia propone un modello oggettificante del soggetto “che riceve”, la diffusione del suo godimento deriva dal far godere l’altro. Questa contraddizione plasma le fantasie sessuali del pornofilo al totalitarismo e all’insensibilità, fantasie che, incontrando un’esasperazione, diventano stile di vita: sessismo.
Come definiresti la tua lingua?
Dato il vocabolario di Maria, composto di arcaismi e neologismi, definirei la sua lingua una sorta di decostruzione grammaticale della realtà odierna, tipicamente lineare e convenzionale. Perlomeno, mi piace pensare di aver fatto qualcosa di tanto poetico.
Così giovane e già con una “voce” così originale. Quali sono i tuoi modelli letterari?
Non ho un riferimento letterario a cui riesco a identificarmi totalmente. Ciò è dovuto al fatto che le mie letture, e i miei gusti, spaziano molto. Leggo narrativa alta e non, saggistica, racconti, poesia. Apprezzo particolarmente la prosa aulica di Paola Capriolo, ma anche le dimensioni underground, punk, per esempio mi piace tantissimo quella Silvia Ballestra della prima metà dei nineties. Libri agli antipodi che esercitano su di me egual fascino.
Sei fuori dai salotti letterari italiani, un’autentica outsider: è quindi possibile esordire nella letteratura senza “conoscenze” e raccomandazioni? Che consiglio daresti a un esordiente che come te è fuori dal giro?
Sono stata pubblicata da Tunué, casa editrice di Latina che pubblica quattro titoli l’anno in una collana di narrativa diretta da quell’asso di Vanni Santoni. La mia esperienza quindi è circoscritta al mondo della piccola editoria, che è sicuramente più accessibile rispetto a grandi realtà. Come sostiene anche Santoni, i premi letterari aiutano l’editor a trovare manoscritti validi perché effettuano già un’importante cernita. Lui ha scoperto il mio testo, infatti, dagli estratti dei finalisti del Premio Calvino pubblicati sull’Indice dei Libri del Mese. Quindi consiglio di mettersi in gioco attraverso concorsi letterari. Partecipare, magari, con un’opera editata da altri, o revisionata scrupolosamente. Riprovarci se va male, non scoraggiarsi.
In un’intervista dici di aver paura di essere giudicata per la tua giovinezza. Ti è già successo?
Come molti altri, anch’io sono cresciuta scoraggiata, certa che fra gerontocrazia, favoritismo, corruzione, alla mia generazione fossero state tagliate le gambe. E forse, quella mia esternazione, tratta da un’intervista in cui ero particolarmente emozionata, nient’altro è che un riflesso condizionato proprio dalla paura di non potercela fare per norma. Finora, però, mi sembra che nessuno sia stato particolarmente reso scettico dalle caratteristiche della mia persona, né da quelle anagrafiche, né tantomeno da quelle fisiche.