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Musica

Il disimpegno degli Zen Circus

"Il fuoco in una stanza", ultimo album della band di Appino

di Luigi Ippoliti / 7 marzo

Il 2004 è stato dominato, in  Italia, da Il suicidio dei samurai dei Verdena. In quell’anno, un album scritto completamente in inglese, Doctor Seduction, con chiari riferimenti ai Pixies, riuscì a ritagliarsi un piccolo spazio nella critica. La scelta della lingua inglese per un gruppo italiano, però, è da sempre uno scoglio difficilmente sormontabile (basti pensare alla carriera degli Afterhours), quindi il fenomeno rimase per una nicchia ristrettissima. Nonostante questo, lì si può leggere il vero e proprio inizio della carriera degli Zen Circus – Visited by the Ghost of Blind Willie Lemon Juice Namington IV sembrava ancora troppo acerbo. Nel successivo Vita e opinioni di Nello Scalpellini, gentiluomo, l’italiano inizia a mischiarsi all’inglese, e l’ironia del gruppo capitanato da Appino prende il via. Si aprono le porte verso un pubblico più ampio. Da qui alla massima espressione dell’estetica e dell’etica della band toscana manca poco: Andate tutti affanculo esce nel 2009 e di fatto gli Zen Circus diventano una band di culto. Ma sono passati quasi dieci anni e oggi, con Il fuoco in una stanza, sono cambiate un po’ di cose.

«Ormai le piazze fanno le rivoluzioni / solo quando sono vuote», cantava Appino in “Ilenia” nel precedente La terza guerra mondiale. Ad abbandonare la piazza, in questo decennio, sembrano essere stati proprio gli Zen Circus. Dalle piazze al fuoco in una stanza. Il percorso è difficile, ma abbastanza chiaro.

In quest’ultimo album la dimensione dell’altro, l’accezione politica dell’altro, la ricerca delle risposte al dramma esistenziale, non è più fuori. È  dentro. Resta solo il fuoco. Il fuoco in una stanza – ma qui siamo in un processo iniziato da Appino con il suo progetto solista – sancisce uno stravolgimento degli Zen Circus e del loro combat-folk, dal loro impegno proprio alla Zen Circus, a un alt-rock con sfumature pop.

Non che non ci siano sprazzi di quello che sono sempre stati. Qua là lo si ritrova. Ma la rabbia – motore della poetica di Appino – verso il mondo non viene riversato verso il mondo. Viene ricercato in quella stanza. È lì che ora si muove la ricerca del senso delle cose. I vari intrecci narrativi di storie umane non sono più il pretesto per aprirsi alla denuncia politica, sono l’argomento, la base su cui ruota l’espressione artistica. Prima erano costantemente urlati per le strade, ora le urla vengono attutite dai vetri della stanza.

Questo non rinnega ciò che sono gli Zen Circus. Non è una pugnalata alle spalle dei fan. È un processo lungo e inevitabile – come inevitabile è invecchiare – che porta un artista a fare i conti con le varie dimensioni dell’Essere

L’ultima fatica degli Zen Circus è un buon lavoro, eterogeneo come forse non è mai stato per loro, pieno di spunti e di riferimenti, arricchito come sempre dai testi di Appino. Non è impossibile riscontrare diverse volte un certo modo di interpretare la canzone alla Vasco Brondi (“Questa non è una canzone”), un Vasco Brondi ripulito e meno criptico, Un Vasco Brondi pop alle prese con dei Ministri versione Sanremo (“La stagione”, dove c’è anche un’evidentissima citazione di “Up Patriots to Arms” di Battiato: «Chi vi credete che noi siamo / Per le feritite che portiamo»). Ma anche altro. C’è Rino Gaetano del 2000 – non Brunori Sas – (“Il mondo come lo vorrei”), i Baustelle tra il Sussidiario illustrato della giovinezza e La moda del lento (“Il rosso e il nero”) o gli ultimi de L’amore e la violenza (“Sono umano”), di nuovo i Ministri, i migliori Ministri di Fuori (“Low Cost”) . Unica pecca, l’effetto stadio che ogni tanto emerge (come nella Gaetanesca “Catene”).

Con Il fuoco in una stanza gli Zen Circus sono tenuti a fare i conti con gli Zen Circus che sono stati e quelli che saranno. Non ci sarà un altro Andate tutti affanculo, e la cosa sembra inevitabile.
Ma, siamo sicuri, con Appino non è cosa certa.

(Il fuoco in una stanza, Zen Circus, alt-rock)

 

LA CRITICA - VOTO 7/10

Il fuoco in una stanza è il ritorno degli Zen Circus e il loro album più intimo. Nonostante non rinneghi completamente le proprie origini, con questo album la band di Appino segna una distanza importante con ciò che è stato.