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“Breviario del rivoluzionario da giovane” di Bruno Osimo

di Cristiana Saporito / 11 giugno

Dalla A alla Z possono accadere cose burrascose. Sciami di fatti chiamati a parole, perché è così che proviamo da sempre a condensare le memorie. Succede quindi che un vocabolario rappresenti un armadio di concetti in sequenza. Di strumenti ben pettinati. A Bruno Osimo (autore di Breviario del rivoluzionario da giovane, Marcos y Marcos, 2018) questa formula piace. Alba e tramonto tra due capi di lettere.

Scrittore e traduttore, autodefinitosi «diversamente ebreo tra gli ebrei», abituato fin da subito a vivere e restituire la differenza.

Lo ha già fatto felicemente, con il suo Dizionario affettivo della lingua ebraica (Marcos y Marcos, 2011); materna, sanguigna e uguale solo a se stessa. Quell’amalgama fibroso impastato di timori, nubi, imbottiture, tutto ciò che può servire ad attutire la realtà. Proprio per questo quello incarnato e trasmesso da sua madre, è un idioma dissimile da ogni altro cuore, ribattezzato dall’autore come tampònico.

Una lingua cuscinetto, per cospargersi di porte e non doversi esporre al sole.

Questa invece è un’altra storia. Nel Breviario del rivoluzionario da giovane, siamo a bordo di altri impulsi. E innanzitutto di un’età, l’adolescenza, appositamente colata per scortecciare le paure da bambino. O quanto meno per deriderle. Il momento biologico eccellente in cui impugnare tutti i maligni congegni familiari e cominciare a manometterli.

Questa poi è la storia di un tempo, o meglio forse di un’era geologica (come sembra a scrutarla da qui) in cui quella giovinezza si è diffusa come un gas. Anni socialmente complessi, anni spinosi, d’Italia elettrica, spaccata, sempre sull’orlo dello scoppio.

Bruno, sbarcato a Milano da Padova, è un quindicenne nel ’73, in quell’epoca perennemente infiammata, incastonata come uno spillo tra le urgenze del ’68 e i pruriti degli anni Ottanta.

Tutto nel suo liceo X, dove studiare è secondario e non conta di certo quanto seminare ogni giorno il germe della ribellione, è altamente politicizzato.

Dai discorsi alle giacche, dalle pose all’igiene. Tutto, fino all’ovvio parossismo, è passato sotto il vaglio del dirigentino in carica. E anche al di fuori della scuola, tutto è dettato e vigilato dall’occhio acuto di un giudice invisibile. Tribunale e metronomo, presente più dell’aria. Per imporre ritmo e misura di ciò che davvero sia di sinistra. Osimo è perfettamente efficace a ritrarre la messa in scena dell’assurdo, con il suo morbido e scanzonato registro di commedia.

«Insomma, quando piove ti accorgi della maggioranza silenziosa. Perché è insopportabile tutta questa organizzazione che mettono ad agghindarsi per un evento meteorologico. Segno che hanno un forte individualismo e ci tengono molto a non bagnarsi, dando priorità a queste preoccupazioni egocentriche rispetto all’imminente avvento della rivoluzione. Ehi, voi, maggioranza silenziosa! Non lamentatevi poi se quando viene la rivoluzione non saprete come vestirvi.»

E in questo quaderno di ricordi in ordine alfabetico, Bruno si ritrova in mezzo.

Schiacciato dal massiccio calcareo della sua formazione, come si evince deliziosamente ad esempio alla voce Esproprio proletario: «mi vergogno profondamente di non aver mai rubato nulla, attribuisco questa mia lacuna curriculare all’inesperienza, alla maleducazione, all’ingenuità e all’ambiente borghese che senza volere ho frequentato (che senso di colpa!) e in qualche angolo remoto della mia mente intuisco che se mai un giorno una donna […] potrà anche solo vagamente essere interessata a me […] – questo succederà solo se io primo mi tolgo il fardello di questa mia maleducazione perbenista».

È tentato dalla cosmogonia di un sistema scardinante, dove nuovi istinti sono pronti ad essere addentati.

La gita a Salò ce lo dimostra a pieno: «Le pulsioni non sono soddisfatte in ordine alfabetico, ma in ordine di pulsione, ed è questa la novità, che mi lascia sempre con la sensazione di non aver fatto la doccia, d’essere in viaggio, d’essere in preallarme, d’essere in emergenza, un’emergenza bella, un’iniezione di calcio nelle ossa che dopo sei più forte per forza, come dopo l’antivaiolosa, e marchiato».

Ogni vocabolo del Breviario è un capitolo efficace, autocritico e brillante, tutto da godere, capacissimo di immortalare i contrasti invincibili tra i modelli d’ispirazione e le sue applicazioni nostrane.

Da un lato la tendenza abituale di molta gioventù studentesca a dimenticare la posizione eretta («segno di scarsa autocoscienza»), preferendo pose arricciate, introflesse, innamorate del proprio ombelico e dall’altro il portamento fiero e impettito dei monumentali operai russi. Da contemplare ancora, come candele sempre accese.

Da una parte la versione originale e dall’altra l’impropria fantasiosa traduzione italica.

E forse in questo iato, in questo continuo voler emulare gli archetipi ed abbattere le regole, senza riuscire a coniugare desideri opposti, sta il senso consapevole del fallimento ideologico, del progetto collettivo fatto a pezzi in favore dello spicciolo benessere del singolo.

Così come il giovane sogna, e all’adulto resta l’agro del risveglio. Incontestabile nella sua schiettezza questa considerazione, che basterebbe da sola a dischiudere il succo: «Mentre nel Sessantotto stava per venire la rivoluzione e non avevano niente da mettersi, noi cominciamo a sentirci depressi, perché la rivoluzione non è ancora venuta e cosa metterci lo sappiamo fin troppo bene».

(Bruno Osimo, Breviario del rivoluzionario da giovane, Marcos y Marcos, 2018, pp. 240, € 18.00)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Osimo ripercorre l’alfabeto dei suoi tempi agitati: conflitti, utopie, contraddizioni insanabili che hanno fatto degli anni Settanta un laboratorio di sogni, amarezze e lotte esplosive. Con la tenerezza di un ragazzo suo malgrado “perbene”, totalmente risucchiato nel vortice.