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Psicopatologia dell’amore secondo Netflix
A proposito della serie “You”, disponibile in Italia dallo scorso dicembre
di Andrea Accolla / 30 gennaio
L’amore segue dinamiche strane, percorsi a volte contorti, con esiti non sempre positivi. Numerosi individui si prefiggono come scopo della propria esistenza (o almeno di buona parte di essa) di incappare in qualcuno che possa far scattare quella scintilla, quel fuoco che dà genesi al turbinio di emozioni così tanto decantate dai poeti.
Ma, se la ricerca diviene una corsa spasmodica e disperata? Un appagamento personale che non serve più a completare la propria esistenza, ma a compensare un vuoto d’affetto difficilmente colmabile?
A rispondere ci pensa Netflix con la sua recente serie You, che esamina da vicino le tematiche più oscure legate alla visione distorta dell’amore, come quella del protagonista Joe Goldberg, (interpretato da un azzeccatissimo Penn Badgley, già apprezzato in Gossip Girl) un pacato e misterioso libraio che porta avanti la sua attività nella frenesia impietosa della Grande Mela. La sua modesta esistenza, rallegrata da una passione maniacale per i classici della letteratura, viene scompaginata dall’incontro con Beck (Elizabeth Lail), aspirante scrittrice che prova ad affermarsi nel campo con pochi sforzi e tantissima superficialità.
Eppure eccola la scintilla che scocca nel cuore di Joe: la ragazza sbarazzina e leggera che condivide la passione per i grandi autori letterari è la donna prescelta da amare e proteggere. A modo di Joe però.
L’incontro, apparentemente banale e insignificante, è in realtà l’incipit di uno stalkeraggio seriale facilitato dalle infinite vie di rintracciamento permesse dai social network, nuove divinità moderne alle quali abbiamo sacrificato completamente la nostra privacy.
Armi improprie se finiscono in mani sbagliate, le peggiori in questo caso, tali da rendere Joe giudice, giuria e giustiziere della vita di Beck e soprattutto dei “nemici” della loro relazione. Perché l’amore secondo Joe vince su ogni cosa, e come diceva il suo padre adottivo: «Alcune persone sono malvagie, meritano di morire».
La scia di sangue ha inizio, Joe torna alle vecchie abitudini. L’introspezione lascia spazio all’azione spregiudicata che segue più l’istinto che la premeditazione (discostando nettamente Joe dal più celebre Dexter, con il quale è concessa qualche analogia) facendolo scivolare in errori grossolani, come colpire un bersaglio con una pietra in una soleggiata mattinata nel cuore di Central Park. Follia intermittente? Probabile.
La personificazione di Joe basterebbe da sola a designarlo come il villain di turno, tuttavia la forza di You risiede proprio nel continuo scambio di ruolo tra i due protagonisti: più volte l’identità del carnefice e della vittima confonderà lo spettatore nell’arco di un solo episodio – l’ossessione patologica di Joe non può soddisfare l’insaziabile richiesta di attenzione di Beck, che usa la propria femminilità come merce di scambio per arrivare a quell’affetto tanto desiderato, salvo poi disfarsene una volta ottenuto con sorprendente nonchalance, per poi assorbire nuovamente l’attenzione del nuovo individuo di sesso maschile di turno. Un gioco al massacro, un’esplosione che può essere detonata dalla virtù femminile.
Dal pericolo derivante dall’utilizzo incauto dei social alle relazioni promiscue e vacue simbolo dei tempi ristretti delle grandi metropoli, You propone un ritratto non proprio edificante sulla generazione Y, con le sue nevrosi, i sogni da realizzare e le insicurezze in un mondo che crediamo di conoscere attraverso un clic.