Musica
Il miracolo mancato di Niccolò Contessa in È sempre bello
A proposito dell'ultimo album di Coez
di Luigi Ippoliti / 3 aprile
A febbraio le strade di Roma e Milano vengono tappezzate di poster anonimi. Lo sfondo è rosso, le frasi brevi. In alcune si intravede una ragazza con un panino in mano. Niente di più. È la campagna pubblicitaria del nuovo album di Coez, È sempre bello, uscito lo scorso 29 marzo.
Che sia un caso o no, la presenza di Niccolò Contessa nella scrittura e nella produzione di quest’album fa supporre che dietro a questa scelta di marketing ci possa essere una sua intuizione. Se c’è, infatti, qualcuno in Italia che riesce a creare attesa attraverso l’anonimato, nascondendosi, è proprio il leader de I Cani: gli albori della sua carriera sono stati segnati dai suoi concerti con in testa un sacchetto di carta – tanto che, all’epoca, si vociferava potesse essere un progetto segreto di Max Gazzè o di Max Pezzali.
E il tocco di Contessa si sente. Non come sarebbe stato necessario, ma è facile scontrarsi con alcune sue tipiche soluzioni: per esempio l’attacco di “Catene”, che potrebbe benissimo uscire dal periodo di Glamour. Perché Contessa avrebbe potuto raddrizzare la cifra stilistica dell’album, aprire la scrittura di Coez verso altre dimensioni, provare a sperimentare nuovi linguaggi, ma di fatto è riuscito semplicemente ad assecondare i tempi che corrono.
È inquietante, infatti, quanto sia facile riconoscere certe inclinazioni melodiche e timbriche a volte alla Calcutta, a volte alla Tommaso Paradiso.
Bisogna ricordare, inoltre, che Coez una volta era un rapper. Ora viene cantato anche da personaggi illustri della politica, ma le sue origini ci raccontano altro. L’immagine Coez rapper è tenuta in segreto in un qualche museo archeologico della musica italiana. Figlio di nessuno è un album che appartiene a un passato che non ha avuto alcun futuro. L’artista dalle origini campane è, oramai, in tutto e per tutto uno degli esponenti dell’itpop. Da Non erano fiori – siamo nel 2013, la rivoluzione de I Cani è già in atto – passando per Niente che non va, fino al grande successo con Faccio un casino – ma siamo in piena contro rivoluzione calcuttiana – Coez ha riproposto tutto il prontuario del perfetto cantautore da cameretta che scrive cori da stadio.
Se i primi due si rifacevano palesemente a Cesare Cremonini, padre putativo involontario dell’itpop, gli ultimi due sono il risultato di un modo di intendere il processo artistico come fine e non come causa.
E se in Faccio un casino poteva esserci ancora qualche spunto interessante (l’atmosfera che si respira in “Still fenomeno”, spazzata poi via dalla furba e impalpabile “Faccio un casino”), in È sempre bello ci troviamo in un abisso retorico appesantito all’inverosimile da una poetica che sa di adulti che scrivono come adolescenti per adolescenti per riempire i palazzetti di adolescenti – fatta eccezione per l’aliena “Vai con Dio”, che sembra scritta da un Vasco Rossi millenial. E se portare i giovanissimi nei palazzetti o nei teatri,come sta facendo in questo periodo Carl Brave, non è un male, è fondamentale tracciare delle linee . Come esiste una letteratura per ragazzi, ma non alla Le avventure di Huckelberry Finn di Mark Twain, dove i destinatari finali erano gli adulti, sarebbe onesto catalogare questo universo come musica per ragazzi, dove i destinatari finali sono i ragazzi.
Con È sempre bello Coez non riesce a togliersi di dosso quella patina che, oramai, lo rende uguale agli altri. Niccolò Contessa non riesce nel miracolo, anzi. La collaborazione artistica tra i due finisce per dare alla luce un album mediocre di cui non si sentiva la necessità.
LA CRITICA - VOTO 4,5/10
A due anni dal grande successo di Faccio un casino, il ritorno di Coez con È sempre bello, un album a cui non basta la presenza di Niccolò Contessa per superare la mediocrità.