Libri
Un bel gioco dura poco
“Giovanissimi” di Alessio Forgione
di Emanuele Pon / 17 marzo
Con l’inserimento ufficiale nella dozzina dei finalisti al Premio Strega 2020, Giovanissimi di Alessio Forgione (NNEditore, 2020) si assume l’onere di consacrare il suo autore, o quanto meno di farlo entrare a pieno titolo nell’alveo della letteratura italiana “che conta”. Si tratta, a questo punto, di valutare se sia troppo presto, troppo tardi, o se sia semplicemente giusto.
Con Giovanissimi, Forgione prosegue il discorso iniziato nel 2018 con Napoli mon amour; anzi, si potrebbe dire che questo secondo romanzo costituisce l’ideale prequel del primo: laddove, infatti, Napoli mon amour si configurava come la storia della ri-educazione sentimentale del trentenne Amoresano, Giovanissimi procede a ritroso. Non più una ri-formazione, dunque, ma una formazione tout court: quella di Marocco, quattordicenne del quartiere napoletano di Soccavo che, a forza di canne fumate sui cavalcavia o sui muretti, e di batoste sempre più grandi, si affaccia alla vita.
Amoresano non lo troverà mai, il suo posto nel mondo: preferirà affogare in mare, piuttosto che nella vita. Dal canto suo, Marocco il suo posto ce l’ha sin dal titolo, simbolico e concreto allo stesso tempo: Giovanissimi sono tutti i protagonisti del romanzo, e si chiamano così, prima di tutto, in virtù della loro leva calcistica. Si sa, da sempre a Napoli il calcio è religione: ed è proprio questo il posto di Marocco, promessa come regista di centrocampo, che sogna la serie A.
Marocco vive col padre, proletario dai sani principi. I due uomini sono stati abbandonati dalla moglie/madre, e tirano avanti come possono: Marocco ha il calcio, i suoi compagni di squadra e i suoi amici; suo padre, ha Marocco. L’assenza femminile si fa ancora sentire: Marocco sogna la madre tra un fumetto e l’altro, ed è, sempre più di frequente, preda di attacchi di un dolore a cui non può, o forse non vuole, dare un nome; suo padre, in modo più adulto e perciò più negativo, semplicemente, ogni tanto, dà di matto e spacca tutto. Ma finché si è giovanissimi, va tutto bene: i sogni dei ragazzini sono intoccabili, proprio perché sono meravigliosamente irreali.
Qui sta il problema, come in ogni romanzo di formazione: l’irrompere della realtà. Tuttavia, il talento cristallino di Forgione lo ha portato a osare ancora di più: si ha la sensazione, già a partire dalle prime pagine, di trovarsi di fronte, più che a una formazione, a una de-formazione. Come a dire: le botte, fisiche ed emotive, che prendiamo durante l’adolescenza, non ci fanno crescere. Non si ha mai, in Giovanissimi, l’impressione che le sofferenze che Marocco si trova a vivere abbiano uno scopo, un fine che giustifica i mezzi: «Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile»? Neanche per sogno.
Sin dall’inizio della vicenda si avvertono i segnali di una de-formazione inesorabile. Lo spogliatoio si sfalda, alcuni vanno nei guai; finiscono le scuole medie, e suo padre decide di iscrivere Marocco a un liceo scientifico a cui lui non vuole andare; si intensifica il rapporto con gli amici al di fuori del campo di calcio, in particolare con uno di questi.
Lunno si chiama così per via degli Unni, e ne è orgoglioso. C’è sempre stato, seppur ai margini, sempre taciturno, spesso additato e deriso dal resto della compagnia. Resta il fatto che è più grande: questo lo differenzia dagli altri, e questo rappresenterà l’ascesa e la rovina, per lui e per Marocco. È proprio lui, infatti, a trascinare il protagonista all’interno di una parabola discendente inevitabile, che li porterà ad annullarsi, a negare sé stessi.
Forgione struttura Giovanissimi in un modo che ricorda la tragedia greca: una sconfitta annunciata dall’inizio, ma non per questo meno bruciante. Una discesa ineluttabile, scandita da tappe che altro non sono se non l’estrinsecazione, in una parola, del rapporto di Marocco con la realtà che lo circonda. Rifiuto, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione.
La violenza si fa strada a partire dalla metà del libro, come uno dei primi elementi di realtà che Marocco si trova a fronteggiare. Da lì in avanti diventerà una compagna di vita quotidiana, perché è sulla violenza e su rapporti violenti che è basato il mondo adulto. De-formandosi mentre cresce, Marocco assomiglia sempre di più a Vinz, il personaggio interpretato da Vincent Cassel in La Haine di Mathieu Kassovitz (1995): testa rasata, poche parole, sguardo truce o distaccato. Una corazza che le circostanze gli hanno cucito addosso.
Allora, come se si trattasse di un Holden Caufield più smaliziato e tragico, Marocco cresce e perde la sua ingenuità, che poi è la caratteristica cruciale dei Giovanissimi. L’innocenza e il senso di invincibilità dell’adolescente sono prima nutriti, poi annichiliti, dalle due colonne portanti di ogni formazione, cioè L’amore e la violenza, con il disco dei Baustelle che risuona come un’ottima colonna sonora per il libro.
Restano da evidenziare, per mettere in luce la grazia preziosa e tragica di un libro come Giovanissimi, gli altri due protagonisti del romanzo. Da un lato, la scrittura di Forgione. Dai tempi di Napoli mon amour, lo stile si è affilato: quella di Forgione è una pagina che graffia, incide in sordina, senza farsi vedere, simile a quei piccoli tagli che reputiamo insignificanti, ma dai quali sgorga tanto, troppo sangue.
La sintassi è secca, le frasi hanno lo stesso carattere di Marocco e soprattutto di Amoresano: restio al contatto, ma con una carica emotiva in nuce, che aspetta solo di farsi strada e di esplodere quando meno ce lo si aspetta. Non un cedimento al sentimentalismo, non un cedimento alla retorica o alla scrittura “artificiale”. Persino i dialoghi non sono dialoghi canonici, privi come sono di trattini e virgolette, andando a creare il vociare indistinto dei Giovanissimi.
Su tutto poi si staglia una Napoli talmente viva da assumere i connotati di un vero e proprio protagonista. Napoli si piega e si adatta alle spinte principali del romanzo – ancora una volta, L’amore e la violenza –, portandole alle estreme conseguenze. Napoli, ci sembra dire Forgione, è la città che, più di tutte le altre, si fa amare e odiare, anche e soprattutto allo stesso tempo.
Napoli dà, e poi Napoli toglie: esattamente come la vita più vera, quella a cui va incontro Marocco, che l’ha sempre aspettata con ansia, e non sa cosa davvero lo aspetta. La Napoli di Forgione è fatta, anche e forse soprattutto, di discese che portano al mare, che sono lo scenario perfetto per la verità finale a cui giunge un Marocco che sta per trasformarsi in Amoresano:
«[…] Eppure niente più succederà perché tutto è già successo. Perché non siamo altro che cose che rotolano giù per una discesa e che prima o poi si fermeranno».